Il nesso tra terremoti e anidride carbonica

I risultati di uno studio tutto italiano

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Negli ultimi anni, nelle zone dell’Appennino si sono verificati devastanti terremoti, che hanno segnato nel profondo la nostra penisola. Basti pensare a quelli dell’Aquila nel 2009 e di Amatrice nel 2016.

A fare la luce su questi drammatici eventi ci ha pensato una ricerca pubblicata sulla celebre rivista Science Advances, effettuata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in stretta collaborazione con l’università di Perugia. I ricercatori hanno trovato un nesso tra l’attività sismica lungo la catena appenninica e i picchi di anidride carbonica nelle zone più colpite.

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Carlo Cardellini, uno degli esperti dell’università di Perugia che hanno preso parte allo studio, ha affermato che vi è “una forte correlazione tra la quantità di anidride carbonica di origine profonda disciolta nelle acque e il numero e la magnitudo dei terremoti, ma non sappiamo ancora se l’aumento dell’emissione di CO2 sia un segnale anticipatore. Per verificarlo, l’Ingv ha finanziato un progetto specifico che, fra l’altro, tenterà il monitoraggio continuo nel tempo dell’emissione di CO2”.

Giovanni Chiodini, ricercatore dell’istituto di Vulcanologia, aggiunge che “per quanto le relazioni temporali tra il verificarsi di un evento sismico e il rilascio di CO2 siano ancora da approfondire, in questo studio ipotizziamo che l’evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita del gas che deriva dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello”.

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I risultati della ricerca sono scaturiti dall’analisi della CO2 disciolta in alcune sorgenti situate nei pressi delle zone colpite dai terremoti dell’ultimo decennio. Ciò ha permesso ai ricercatori di scoprire, inoltre, che la quantità di anidride carbonica rilasciata durante l’attività sismica è la stessa di quella emessa durante eruzioni vulcaniche, ossia di 1,8 tonnellate.

Francesco Ambrosio

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