Il vino del 2099: gli impatti del cambiamento climatico sulla viticoltura trentina

Tra 80 anni si vendemmierà con un anticipo fino a 4 settimane

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Uno studio interdisciplinare condotto da Fondazione Edmund Mach, Centro C3A in collaborazione con l’Università di Trento e la Fondazione Bruno Kessler ha analizzato l’impatto dei cambiamenti climatici sulle fasi fenomenologiche di cinque varietà di vite nei periodi compresi tra il 2021 e il 2050 e tra il 2071 e il 2099. L’indagine, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Agricultural and Forest Meteorology” e basata sulle attività del progetto Envirochange finanziato dalla Provincia di Trento, prevede che in futuro si avrà un ciclo vegetativo più breve, con inizio anticipato e durata più breve delle singole fasi di sviluppo.

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Le proiezioni alla base di questa ricerca sostengono che la regione mediterranea sia un “hot spot” dal punto di vista climatico, ovvero che vedrà salire le proprie temperature più di altre aree del mondo. “Per questo – spiega la direttrice del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente C3A, Ilaria Pertot - l’industria viti-vinicola è chiamata a investire in futuro su strategie di adattamento per gestire l’impatto previsto, che comunque sarà eterogeneo tra varietà e regioni. Una verifica a livello regionale è quindi cruciale per applicare strategie e misure mirate. Il lavoro dimostra ancora una volta l’importanza della sinergia del sistema trentino che ha coinvolto FEM, Università di Trento con il C3A e Fondazione Bruno Kessler: senza le competenze multidisciplinari presenti nei nostri enti non sarebbe stato possibile giungere a questo risultato importante sia per valenza scientifica sia pratica”.

Per lo studio è stato applicato il modello climatico regionale FENOVITIS, usato per simulare le fasi di germogliamento, piena fioritura e invaiatura di cinque varietà - Chardonnay, Merlot, Pinot Nero, Pinot Grigio e Sauvignon Blanc - con altitudini di coltivazione che variano dai 67 metri ai 950 sul livello del mare. Il calcolo è stato implementato in una piattaforma open source modulare (ENVIRO) che include la mappa catastale della Provincia, coprendo un totale di 25.8654 vigneti. Le serie meteorologiche, invece, sono state ottenute dal database regionale FEM e da quello del Servizio meteo PAT basato su 33 stazioni di rilevamento. L’indagine ha utilizzato in modo intensivo risorse di calcolo e modelli numerici, sviluppati da ricercatori della Fondazione Bruno Kessler.

cms_12246/3.jpgCome si legge nella premessa della pubblicazione, l’aumento delle temperature potrebbe portare un anticipo di 6-25 giorni per i diversi vitigni, con una media di 3-6 giorni di anticipo per ogni grado di riscaldamento negli ultimi 30-50 anni. Tale fenomeno potrebbe non presentarsi in maniera omogenea, tuttavia, in una regione montuosa come il Trentino. Il cambiamento maggiore nella fenologia della vite è atteso dove i valori delle temperature di base sono più bassi, ovvero a quote più elevate. Le prime conseguenze potrebbero essere visibili già nei prossimi 30 anni, e saranno ancora più marcate alla fine di questo secolo.

Le simulazioni fanno prospettare anche un raccorciamento della stagione tra il germogliamento e il raccolto. Infine, si prevede che il tempo di raccolta ridurrà il divario temporale tra i siti di montagna e di valle, a causa dello sviluppo fenologico più rapido a quote più elevate. Guardando alle varietà, il Pinot Grigio e il Merlot, coltivati in vigneti situati alle quote più basse, mostrano la più bassa attesa di anticipo di fasi ma il più alto accorciamento della stagione vegetativa. Il Pinot Nero, il Sauvignon Blanc e lo Chardonnay, che si trovano a quote più elevate, hanno un comportamento opposto. Ennesima conseguenza sarà l’accorciamento del periodo di vendemmia per le cantine, legato a un raccolto nei vigneti lungo i transetti altitudinali meno scalare. Questo richiederà adeguamenti della gestione nell’organizzazione delle aziende vinicole.

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Per far fronte a queste modificazioni, i ricercatori propongono due possibili strategie di adattamento: la coltivazione delle varietà esistenti in zone più fredde (che potrebbe prevedere, quindi, uno spostamento della coltivazione in altitudine) e l’introduzione di innovazioni nel processo di vinificazione. Si potrebbe optare, in terza istanza, alla valorizzazione dei vitigni più adatti ai climi caldi. Un approccio proattivo dei viticoltori per trovare nuove aree idonee per le varietà tradizionali potrebbe portare benefici al mantenimento della qualità di alcuni vini e, allo stesso tempo, l’introduzione di nuove varietà potrebbe aprire un nuovo mercato. In ogni caso, sono attesi ulteriori aggiornamenti circa la valutazione degli effetti delle condizioni ambientali locali sulla qualità del vino.

Roberto Pedron

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