KING GEORGE

Storia di un personaggio della politica italiana sempre in prima linea che la riforma “Renzi Boschi” vuol mantenere nell’agio di eterno presidente.

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Giorgio Napolitano. Un nome che nel corso del tempo è entrato nelle case degli italiani. “King George”, come lo aveva chiamato il New York Times a meno di un mese dall’insediamento di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio. Erano i due salvatori dell’Italia, gli illustri ciabattini ai quali era stato affidato il risanamento dello stivale, poi fatto cuocere in Fornero. Ma chi è stato Giorgio Napolitano in precedenza? Di lui si sa che da studente aderì al gruppo universitario fascista, da egli stesso in seguito dichiarato “fucina di antifascisti” camuffata e tollerata fino ad un certo punto.

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Nel 1945 entra nel PCI, per cui diventa deputato nel 1953. Nel 1956 loda la repressione dei moti ungheresi da parte dell’Unione Sovietica, intervento secondo lui atto ad impedire la caduta dell’Ungheria nel caos e nella controrivoluzione, contribuendo alla pace nel mondo. All’interno del partito viene ricordato in special modo per essere stato uno dei maggiori oppositori a Berlinguer, criticandolo sull’Unità per l’isolamento parlamentare in cui rischiava di “trascinare il PCI al solo scopo di battere i familiari sentieri della lotta di classe”. Effettivamente una lotta che il PD, erede del Partito Comunista Italiano, sembra non portare avanti con la stessa intensità di allora.

Nel 1996 viene nominato, dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, Ministro dell’Interno, e con questo incarico, assieme a Livia Turco, istituisce nel 1998 i Centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini, attraverso la famosa legge Turco Napolitano, con buona pace degli amanti
del quasi omonimo film con Totò.

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È aspramente criticato, sempre come Ministro dell’Interno, per non aver attuato una adeguata sorveglianza su Licio Gelli, fuggito all’estero il giorno stesso della sentenza della Cassazione per depistaggio e strage. Nel 2006, dopo 4 votazioni, viene eletto undicesimo Presidente della Repubblica italiana, primo esponente proveniente dal PCI a ricoprire quel ruolo, e nel 2008, da Capo dello Stato, promulga il cosiddetto Lodo Alfano, la legge 124/2008, recante “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato", ritenuta poi incostituzionale nel 2009 da parte della Corte Costituzionale. L’appellativo “Re Giorgio”, poi ripreso dagli statunitensi senza comprenderne la portata, deriva dal conflitto di attribuzione sollevato dallo stesso Napolitano contro la Procura di Palermo la quale, intercettando l’utenza telefonica di Nicola Mancino, aveva registrato delle conversazioni tra loro. Lo scopo del conflitto d’attribuzione era evitare che le intercettazioni in questione fossero distrutte a seguito di una “udienza stralcio”, nella quale gli avvocati delle parti in causa avrebbero potuto ascoltare le conversazioni, con il rischio che ne divulgassero i contenuti alla stampa. Vicenda di enorme impatto mediatico, che ha visto Napolitano criticato aspramente anche dal giurista Franco Cordero, che lo accusava di rivendicare privilegi da monarca assoluto.

cms_4704/foto_4.jpgOggi il nome di Re Giorgio torna alla ribalta a causa del cosiddetto Comma Napolitano, com’è stato denominato il Comma 5 dell’articolo 40 della riforma costituzionale in virtù del quale, secondo quanto riportato da Primo De Nicola de Il Fatto Quotidiano, verrebbero blindati i trattamenti riservati agli ex presidenti della Repubblica, nella fattispecie il mantenimento di 579.643 euro riservati a loro, assieme ad uno staff composto da un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi e due addetti ai lavori ausiliari, oltre ad un consigliere diplomatico o militare. Il comma prende il nome dell’ultimo ex Capo di Stato ancora in vita, essendo mancato da poco Carlo Azeglio Ciampi. Ma non si può non sorridere pensando a come “King George”, anche da semplice Senatore a vita, continui ad animare la vita politica italiana oltre a riempire i titoli dei giornali e soprattutto ad essere nominato dalle persone. Se la riforma “Renzi-Boschi” ha sollevato - e continua a sollevare - polemiche, l’art. 5 servirà a molti, su un piatto d’argento, un bel motivo per scandalizzarsi forse un altro po’.

Paolo Varese

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