KOBE BRYANT: PER SEMPRE “BLACK MAMBA”, MA NON SOLO KOBE BRYANT: PER SEMPRE “BLACK MAMBA”, MA NON SOLO

Il ricordo di Kobe e della figlia "Gigi"Bryant un mese dopo

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Ripartiamo da qui. Si deve ripartire, si devono scacciare le tenebre del dolore per far riemergere la luce della vita. Le lacrime che continuano a scendere laveranno questa oscurità, presentando il ricordo più limpido e puro di una leggenda che non c’è più. Le parole di Paulo Coelho sono il riassunto perfetto di cosa significhi essere un esempio in tutto e per tutto, e soprattutto per tutti.

Kobe Bryant non è stato solamente il “Black Mamba”. Il giocatore più pericoloso e più forte della storia dei Los Angeles Lakers, trascendeva questa prima definizione. Era diventato un’icona, una fonte di ispirazione, il “Michael Jordan della nuova generazione”. Ci sarà, in futuro, uno come lui? Incarnare quelle tre qualità è difficile, ma non impossibile. Ha lasciato l’eredità più pesante e bella di tutti, da raccogliere e portare avanti. Perché è questo il modo di onorarlo al meglio.

I numeri, specialmente nello sport, hanno sempre avuto il loro particolare fascino. Presentano dati, narrano statistiche e raccontano una storia. Le cifre sulle maglie dei giocatori racchiudono forse l’essenza del gioco. Identifichi un campione per ciò che ha scritto su ciò che indossa, associ quel numero ad una giocata particolare, che solo quella persona può fare.

Il numero 24 ha assunto un significato particolare. Dai giallo-viola della California era stato già ritirato dopo l’addio al basket di Bryant, ma sarà anche simbolo della palla a spicchi. Il numero che Kobe Bryant ha indossato agli inizi della sua carriera, e chissà che un giorno non sarebbe toccato alla figlia Gigi portarlo sulle spalle. Rimarranno soltanto fantasie, ma, in fondo, è dalle fantasie che nascono le storie più belle.

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La scomparsa delle nove persone a bordo di quell’elicottero fa più rabbia perché è avvenuta in un contesto di assoluta normalità. Erano un padre, una figlia e i loro amici che si apprestavano ad assistere ad un match del loro sport preferito. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che potesse accadere un qualcosa di simile. Cosa resta ora? La forza, la più umana di tutte, di risorgere dall’abisso più oscuro, di svegliarsi dall’incubo più buio.

Sono state dette tante parole, sono state consumante tante penne, sono stati premuti tanti tasti sulle tastiere. Siamo abituati a vedere gli sportivi e le persone famose come supereroi viventi in un modo idilliaco, e invece ci siamo resi conto che sono esseri umani proprio come noi. Il mondo, dopo tutte le difficoltà che sta attraversando, si è improvvisamente fermato.

Le persone, per la prima volta dopo tanto tempo, si sono ritrovate unite nel piangere il loro idolo. E che insieme lo ringraziano, giacché grazie a lui hanno imparato a sognare. E non smetteranno. Se è vero che è quando si esce di scena che si capisce che ruolo si ha avuto allora il risultato è sotto gli occhi di tutti. E non potrebbe essere più bello di così.

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Tante giovani promesse della pallacanestro probabilmente vorranno percorrere la strada tracciata da Kobe e Gigi Bryant, fare le stesse cose che sono riuscite a loro. Si cresce guardando le proprie fonti di ispirazione e si ha l’aspirazione di poterle un giorno imitare. Aspirazione, ispirazione, imitazione per ciò che può portare a realizzare i propri sogni di gloria. E se la strada della gloria è quella che rimane da percorrere a Kobe e Gigi, allora quest’ultimo canestro non è mai sembrato più alla portata di così.

(Foto da adnkronos.com - si ringrazia)

Francesco Bulzis

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