Kenya: il lago Turkana vittima dei cambiamenti climatici

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Nel nord-ovest del Kenya vive l’etnia dei Turkana, un popolo che negli anni precedenti si dedicava per lo più alla pastorizia. Poi però, i drastici cambiamenti climatici, con temperature costanti sui 45 gradi per 5 mesi all’anno e la scarsità di piogge, hanno complicato la sopravvivenza della popolazione locale e il nutrimento del bestiame, anche per la mancanza di pascoli verdi.

A tutto questo si è aggiunta la storica emarginazione che ha sempre vissuto quest’etnia da parte del governo keniota, per cui nella zona scorrazzano libere anche delle bande armate. Inoltre, nella contea Turkana sono stati scoperti anche dei giacimenti petroliferi, cosa che ha portato le grandi compagnie estere a espropriare molti terreni ai locali.

I turkana nel corso del tempo si sono dovuti adattare, iniziando a dedicarsi maggiormente alla pesca spostandosi sulle rive del lago Turkana.

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Situato in un territorio che comprende il sud dell’Etiopia fino al centro del Kenya, questa lunga striscia di acqua si presenta come il più grande lago alcalino del mondo. Attualmente la pesca è l’unica fonte di sussistenza per l’etnia Turkana. I bambini gettano le reti in acqua, mentre gli adulti aspettano sulle loro barche a motore. Alcuni pescatori si spostano anche verso le più ricche acque dell’isola del Nord, ma qui bisogna pagare una tassa d’accesso per pescare.

I pesci grandi vengono venduti freschi, quelli piccoli vengono fatti essiccare. Il pesce non viene pesato con bilance, quindi i pescatori vengono pagati da 1 a 3 scellini in base alle dimensioni.

Molti pesci vengono imballati per essere trasportati in Congo, ma arrivano dopo un mese di viaggio e non sono più freschi. Vengono però venduti a 5 scellini, un prezzo ottimo, che però molti locali sperperano in alcol e tabacco.

Ma da qualche anno a questa parte, purtroppo, la pesca nel Turkana è minacciata dal governo kenyano, che ha deciso di investire 5 miliardi di dollari nella costruzione di alcune dighe per la produzione di energia idroelettrica. Le dighe sono state costruite lungo il fiume Omo, che sfocia nel lago Turkana.

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La Gibel Gibe III, ultima diga costruita nella zona, realizzata dalla ditta italiana Salini-Impregilo, è diventata la più grande centrale idroelettrica dell’Africa. Questa diga ha assorbito quasi metà dell’acqua del lago, per irrigare le piantagioni di canna da zucchero gestite dalla Ethiopian Sugar Corporation. Questo ha creato non pochi problemi ai Turkana. Infatti, questa etnia è stata costretta a seguire il corso del lago, a spostarsi per carenza d’acqua, utilizzata sia per la pesca che per abbeverare il bestiame. Inoltre, la superficie del lago continua ad abbassarsi di 2 cm all’anno e questo va a discapito delle esondazioni. Queste infatti abbassano il livello di salinità e permettono ai pesci di spostarsi a riva facilitando i pescatori.

Nel 2004, quando fu varato il piano di sfruttamento dell’energia idroelettrica, in una documentazione a parte era specificato che il tutto doveva avvenire facendo degli approfondimenti sociali sulle popolazioni locali. Ma non sono stati fatti i dovuti controlli e il governo keniota ha continuato a disinteressarsi della cosa.

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In futuro un abbassamento drastico del livello dell’acqua potrebbe portare allo spostamento dell’etnia etiope del Popolo del Delta verso il Kenya, scatenando delle lotte tra etnie con i turkana.

Molte associazioni umanitarie hanno proposto delle istanze, ma il governo keniota non ha voluto sentire ragioni. Anzi, è in previsione anche la costruzione di altre due dighe, cosa che potrebbe portare il lago Turkana a scomparire definitivamente, con drastiche ritorsioni ambientali e sociali per le popolazioni che vivono di pesca grazie alle sue acque.

Francesco Ambrosio

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