L’ARTE DI MATTEO LUCCA
“Pane” da condividere in tutte le sue forme: l’intervista

Negli ultimi anni il pane è diventato la materia prima del suo lavoro, per la realizzazione di opere che, attraverso questo elemento da sempre simbolo del vivere quotidiano, intendono rappresentare il nutrimento, l’offerta, ma anche l’unione, l’amicizia e i legami tra le persone.
La ricerca dell’artista romagnolo Matteo Lucca, infatti, nasce da una riflessione sul darsi all’altro come nutrimento; concetto che è anche al centro del primo progetto espositivo a firma Gallerie Riunite, con la personale “Il Dono”, inaugurata lo scorso 26 marzo e visitabile fino al 28 maggio 2022 a Napoli, in Via Cavallerizza a Chiaia n. 57.
Lucca usa diversi sistemi espressivi, dalle terrecotte agli approcci performativi, nell’intento di attivare una riflessione sull’umano. “Ad oggi le parole chiave del mio approccio sono: affidarsi ed inciampo. quello che mi interessa ora è innescare la miccia di un processo potenzialmente autonomo nel quale in parte affidarmi ed essere osservatore di ciò che accade. L’affidarsi è anche nell’accogliere l’inciampo, l’inaspettato e fare tesoro di questa cosa come valore centrale dell’opera e come luogo di osservazione e comprensione. Durante il processo, il mio ruolo è quello di assecondare il naturale dispiegarsi degli eventi coi quali sono in dialogo. A livelli diversi, il mio compito è quello di creare il territorio adatto e predisporre le condizioni. Nel caso delle opere in pane si tratta, per esempio, di disporre il pane negli stampi e seguirne la cottura, ma quello che accade mentre l’opera lievita e cuoce non dipende più da me” afferma l’artista.
Al tema spirituale, nell’opera di Lucca si affiancano altre tematiche: la madre, il femminile che nutre, le riflessioni sulla natura dell’uomo; l’effimero, il conflitto, il non risolto, l’umano che manifesta anche il lato debole di sé. Ma dare forma umana al pane significa anche raccontare l’essere umano attraverso l’insieme dei significati, storie e culture di cui esso si è caricato nel tempo.
Il processo creativo nasce da una serie di suggestioni tratte da una Meditazione del Buddismo Tibetano, nella quale il superamento del proprio ego avviene facendo offerta del proprio corpo.
L’artista ripercorre le tappe di quell’immaginario visivo reinterpretandone i simboli attraverso il suo personale vissuto.
Matteo Lucca nasce a Forlì nel 1980. Si laurea in scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2007.
Tra le collezioni nelle quali è presente si annoverano: collezione privata presso Hettabretz (BO); collezione “white museum” presso Capri Palace Hotel (NA); collezione Giovani Artisti del Comune di Forlì (FC); collezione presso il Museo d’arte Contemporanea Vero Stoppioni di Santa Sofia (FC); collezione presso Palazzo Merani, Tblisi, Georgia.
Abbiamo intervistato l’artista, ponendogli alcune domande sul suo percorso professionale ed umano.
Lei usa un materiale estremamente inusuale per un’opera scultorea: il pane. Come nasce quest’idea e quali sono i metodi per poter mantenere intatto un elemento così deperibile?
È vero, il pane è un elemento inusuale per un’opera scultorea, nonostante sia in buona compagnia di grandi artisti che, nel corso degli anni, lo hanno utilizzato come materiale; penso ad Antony Gormley, Marc Quinn, o Piero Manzoni, per citarne alcuni. Nel mio percorso, questo elemento è arrivato in occasione di una mostra che aveva come tema il cibo; perciò, mi sono interrogato su come poter rappresentare il corpo attraverso il cibo stesso. Così, la scelta del pane: archetipo del nutrimento, e, a più livelli, carico di simboli e significati che toccano la vita dell’uomo nella sua storia, nelle tradizioni popolari, nella cultura dei popoli, fino ad arrivare alle tradizioni religiose e spirituali. Così, per me, usare il pane è un modo per raccontare l’uomo nei suoi diversi aspetti, sia come corpo che come cammino esistenziale.
Dal punto di vista pratico, la conservazione dei miei lavori avviene tramite dei lavaggi ed immersioni in una vasca contenente un liquido/resina che penetra in profondità, rendendo ad oggi le mie opere piuttosto resistenti e durature nel tempo.
Le sue sculture hanno spesso volti femminili; ci sono figure o donne reali alle quali si ispira?
Nelle mie opere, fino ad oggi ho utilizzato due modelli: il calco del mio corpo e volto e quello di una ragazza che mi ha fatto da modella. A volte, anche le figure maschili prendono una connotazione femminile, probabilmente a causa di come il pane, lievitando, crei diverse, per così dire, acconciature di capelli; o forse per una particolare atmosfera che esse producono.
Tornando alla sua domanda, le opere nascono da calchi che realizzo dal vivo e solitamente sono persone a me care.
“Il Dono” è il titolo della sua esposizione napoletana: può spiegarci il perché di questa scelta?
Il “Dono” è il cuore della mia ricerca sul pane e dal quale si sono successivamente sviluppati altri spunti di riflessione. Pensare al corpo e al pane è per me pensare ad un corpo che si offre come nutrimento, tant’è che le mie prime installazioni erano dei buffet; oppure, in altri casi, le mie opere erano date in pasto ad animali o lasciate in natura a deperire. Il mio primo tema era quello dell’offerta del corpo. Trova sicuramente una grande risonanza con l’eucarestia cristiana, ma voglio tenere la questione più aperta, tanto che le prime intuizioni sono nate dall’incontro con una meditazione buddista. Presentare un corpo in pane significa anche mostrare il potenziale che ognuno ha nel poter essere nutrimento per l’altro; nonostante le mie opere si presentino a volte bruciate e poco invitanti, infatti, vorrei mostrare come, nonostante tutto, nel suo profondo ognuno può essere “pane”.
Le sue opere sono molto espressive ed al contempo semplici; c’è un messaggio che le accomuna tutte?
Noto sempre più spesso quanto la semplicità sia veicolo di complessità. Il messaggio è il medesimo di cui si parlava poc’anzi. Da quella base comune a tutte, ad ogni opera si aggiunge un qualcosa che le rende indipendenti: può essere in occasione di una mostra, oppure a seguito di un episodio casuale, o di una suggestione visiva. Perciò molte di loro hanno dei titoli specifici.
Il pane evoca l’Ultima Cena, o comunque il Corpo di Cristo. C’è un’influenza spirituale nelle sue creazioni?
Indirettamente sì, ma non per una scelta consapevole. Come accennavo poco fa, le mie intuizioni iniziali sono state ispirate da una meditazione buddista anch’essa legata al tema dell’offerta del corpo. Ho ripercorso le tappe di quella meditazione andando a sostituire alcuni elementi con quelli della mia tradizione; così, ciò che era un nettare, è diventato pane ed ecco che, senza volerlo, ho trovato il corrispettivo della cultura cristiana. Religioni a parte, sento il mio lavoro ed il mio approccio e la mia attitudine all’arte molto vicino ad un senso spirituale e sacro, ma indipendente rispetto alle rispettive correnti.
Di solito quali sono i momenti della giornata in cui un artista - nello specifico lei - riesce a lavorare con maggiore concentrazione?
Personalmente preferisco lavorare di giorno, soprattutto nel pomeriggio.
Quando è stato per la prima volta a Napoli e quali sono le sue impressioni su questa città?
È una città complessa e difficile da riassumere. Mi ha affascinato il senso di stratificazione sociale, culturale, architettonico, paesaggistico al quale si assiste. Ho l’impressione che i grandi contrasti e contraddizioni della vita, che altrove sono ben mascherati, qui invece si manifestino. Il nuovo si sovrappone al vecchio, il rotto al perfettamente intatto, il ricco al povero. È decadente e lussuosa, silenziosa e lenta nei suoi tempi ed insieme caotica. Mi rendo conto della complessità e delle problematiche che possa comportare tutto ciò, ma questo è un aspetto che sento molto stimolante. Quanto alle persone, ho trovato un grande calore.
Lei vive e lavora a Forlì; ci sono artisti con cui collabora assiduamente o con i quali si confronta con una certa regolarità?
Sì, ci sono cari amici artisti che sento regolarmente, che frequento e con i quali collaboro, in particolar modo Matteo Sbaragli, che è un amico pittore con il quale siamo cresciuti insieme come amici e come artisti; inoltre, Oscar Dominguez ed Ana Hilar, una coppia di amici scultori e ceramisti.
Attualmente divido lo studio con uno scultore che fu il mio primo maestro, Ivo Gensini.
Loro sono i miei riferimenti più vicini e quotidiani.
Infine, volevo chiederle se c’è un artista che ha influenzato più d’ogni altro la sua produzione.
Le influenze sono ovviamente tante, dentro all’arte e fuori; ma devo molto al lavoro di Antony Gormley.
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