L’INUTILE POLEMICA SUL COSTO DEI SACCHETTI DI PLASTICA CHE DIVENTA UN CASO POLITICO

I partiti cavalcano la protesta. Ma molti difendono la norma

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Non si placa la polemica sui sacchetti riciclabili a pagamento per frutta e verdura, obbligatori per legge dal primo gennaio, complice una informazione strumentale alle vicine elezioni politiche.

In estate il Parlamento ha approvato il decreto Mezzogiorno nel quale all’articolo 9-bis è stato aggiunto il recepimento della direttiva Ue 720/2015, che spinge a ridurre l’uso di sacchi di plastica e a fare ricorso ai sacchetti biodegradabili, pena pesanti sanzioni. Sono stati aggiunti anche emendamenti che impongono, dal primo gennaio, l’uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini “ultraleggeri” con i quali si pesano e si prezzano i prodotti sfusi come pane, ortaggi, frutta. La norma non fissa il prezzo e non dà un costo massimo, dice semplicemente che “le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati”. Anche se, in realtà, si prevede un costo massimo di un centesimo – massimo due - a sacchetto. Si tratta, quindi, di una norma che prevede un costo – minimo - per un sacchetto biodegradabile e compostabile per l’ortofrutta, per recepire una direttiva europea e fermare una procedura di infrazione. Ma soprattutto per tutelare l’ambiente.

Monta la polemica - soprattutto sui social - e da più parti si lancia il boicottaggio per quella che per alcuni è una norma ecologica che fa bene al pianeta ma che molti ritengono una “tassa” in più che pesa sui consumatori. Ovviamente il caso diventa politico, anche grazie a uno scambio di fake news. Molte le “bufale” che stanno circolando in questi giorni: dalla cosiddetta “tassa occulta” alla questione del monopolio di Novamont, azienda a cui si deve l’invenzione del Mater-Bi. E’ circolata, infatti, una notizia, priva di qualunque verifica, secondo cui il governo avrebbe degli interessi a introdurre il nuovo obbligo di pagare i sacchetti e che la misura avrebbe avuto il secondo fine di favorire una certa azienda “monopolista del settore”, la Novamont, appunto, con a capo una persona “vicina a Renzi” o “amica di Renzi”. Si tratta di una fantasia di chi non conosce il mercato delle bioplastiche. Oggi, nel mondo, ci sono almeno una decina di aziende chimiche che producono polimeri compostabili con cui si producono sacchetti e altro. Basta andare sul web e si possono trovare colossi della chimica italiana, tedesca, americana, del sud est asiatico, che producono bioplastiche. In più, c’è da dire che da sempre i cittadini pagano in modo invisibile gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno. Nessun produttore o nessuna azienda della grande distribuzione ha mai fatto ovviamente e naturalmente beneficenza nei confronti dei consumatori. Unica differenza è che con la nuova norma il costo è visibile, perché l’obiettivo è aumentare la consapevolezza dei consumatori su un manufatto che, se gestito non correttamente, può causare un notevole impatto ambientale.

In realtà, al di là delle strumentali polemiche, l’Italia ha attuato una direttiva europea che tende a eliminare la plastica dai sacchetti. “Anziché gridare al complotto, - scrive Matteo Renzi sulla sua pagina Facebook - dovremmo aiutare a creare nuove aziende nel settore della Green Economy, senza lasciare il futuro nelle mani dei nostri concorrenti internazionali”.

Dulcis in fundo, se finora i consumatori pagavano le buste per l’ortofrutta con un ricarico sul prezzo dei prodotti, oggi il consumatore sa quanto costa l’impegno di ciascuno per la lotta alle plastiche che infestano i nostri mari e deturpano il nostro ambiente. E non mi sembra cosa di poco conto.

Mary Divella

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