L’OPINIONE DEL FILOSOFO
Albert Camus, o il gran grido della ribellione umana (Ultima Parte)
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Albert Camus. La libertà e la passione
L’uomo assurdo non si occupa della "libertà in sé", che non avrebbe senso che in relazione alla fede, ma non può provare che la propria libertà di spirito e d’azione. Fino alla "scoperta" dell’assurdo, l’uomo aveva l’illusione di essere libero, mentre in realtà era schiavo dell’abitudine e dei pregiudizi, che davano alla sua vita solamente la parvenza di scopo e di valore. La scoperta dell’assurdo gli permette di vedere tutto con uno sguardo nuovo: l’uomo è profondamente libero solo nel momento in cui conosce lucidamente la sua condizione senza speranza e senza domani. Si sente allora sciolto dalle regole comuni e impara a vivere "senza appello". "Vivere in un universo assurdo consisterà dunque nel moltiplicare le esperienze lucide "con passione", per essere di fronte al mondo il più spesso possibile".
Mentre Montaigne insiste sulla qualità dell’esperienza, Camus insiste sulla quantità, giacché la qualità scaturisce dalla nostra presenza nel mondo in piena coscienza: "Sentire la propria vita, la propria rivolta e libertà, è vivere il più possibile. Là dove regna la lucidità, la scala dei valori diventa inutile...Il presente e la successione dei presenti, davanti ad un’anima costantemente cosciente, è l’ideale dell’uomo assurdo".
"Tutto è permesso" - scrive Ivan Karamazoff. E tuttavia, Camus nota che questo grido comporta più amarezza che gioia, costatando che non ci sono più valori consacrati per orientare la nostra scelta. "Tutto è permesso" non significa che tutto sia permesso, al contrario, l’assurdo non raccomanda il crimine, ma restituisce ai rimorsi, la loro inutilità. Allo stesso modo, se tutte le esperienze si equivalgono, l’esperienza del dovere è tanto legittima come qualsiasi altra.
È giustamente nel campo delle possibilità e con questi limiti che si esercita la libertà dell’uomo assurdo: l’uomo è la propria fine, la sola fine, ma c’è anche chi serve l’umanità ed è proprio nel senso di un umanesimo a servizio dell’uomo, che si evolve il pensiero di Camus. E per Sartre: “Essere condannato a essere libero, significa non trovare altri limiti alla propria libertà che la libertà stessa". Non scegliere è infine ancora scegliere. Il solo limite alla mia libertà è la mia morte, che trasforma la mia esistenza in essenza, ovvero, in destino.
L’uomo è condannato ad essere libero...
“Essere condannato a essere libero, significa non trovare altri limiti alla propria libertà che la libertà stessa" (Sartre)
Camus e Sartre
Se, secondo Sartre, “L’homme est condamné à être libre” e se la libertà umana è assoluta, il soggetto è immerso in una situazione che ne conferisce il senso. Così, una situazione non è insopportabile in se stessa, ma diventa sopportabile quando un progetto di rivolta le dà un senso. Nell’Esistenzialismo come umanesimo, Sartre vede la libertà come un potere di nullificazione, come un superamento del dato -" l’uomo è per sé " -, nullificazione è creare delle possibilità nel mondo così come è dato, e finalmente è introdurre la libertà nel mondo. Per Sartre, dobbiamo dunque assumere la nostra contingenza ed è attraverso i fatti ed i dati del mondo, che l’uomo si fa "in sé".
Sartre distingue sei modi nel nostro stare al mondo: il fatto di nascere in una certa società ed in una certa epoca, il fatto d’avere un corpo, di avere un passato, il fatto di esistere in un mondo che esiste prima di noi, il fatto di esistere fra altri soggetti - intersoggettività - ed infine il fatto di morire, la nostra finitudine. Il rapporto intersoggettivo delle coscienze in Sartre si presenta come un conflitto, una forma di conoscenza: ogni coscienza esige che l’altro la riconosca come coscienza e come libera, ma se io riconosco libero come libero, faccio di lui il mio maestro. L’altro (autrui, “ce moi qui n’est pas moi“) diviene altro quando la sua volontà e la sua libertà si oppongono alla mia, in un’ analisi che rimonta a Hegel ed alle lotte di coscienza. Scrive Sartre: “L’uomo è costantemente fuori di se stesso, è solo proiettandosi e perdendosi fuori di sé che l’uomo esiste ed è solamente perseguendo degli scopi trascendentali che egli può esistere. (...) Non c’è altro universo che l’universo umano, l’universo della soggettività umana".
L’umanesimo esistenzialista di Sartre ci ricorda che non c’è altro legislatore che l’uomo stesso, che, cercando fuori di se stesso uno scopo, potrà realizzare la propria liberazione e realizzarsi precisamente come umano. Se questo è l’umanesimo esistenzialista di Sartre, il nostro discorso può chiudersi con l’umanesimo libertario di Camus.
Albert Camus, un umanista libertario
Nella rivolta umanista di Camus, il male è nell’uomo: "Noi tutti portiamo in noi le nostre prigioni, i nostri crimini e le nostre angosce. Ma il nostro compito non consiste nel liberarli nel mondo, quanto nel combatterli in noi stessi e negli altri". Così, contrariamente a quanto affermano Sartre e Barthes, quello di Camus non è un umanesimo dell’essere. Nella scrittura Camus tenta di farsi del mondo una immagine coerente, da cui deriva un’etica che può costituire una regola di vita. Questa regola di vita è quella dell’umanesimo libertario, un umanesimo che sa resistere all’aria dei tempi.
E questo Camus non lo fa da filosofo, ma da artista, esortando gli uomini a diminuire il loro atroce dolore: "salvare dei corpi, è fare politica". Per questo, Camus pensa che è meglio costruire il socialismo - l’umanesimo libertario - a partire dal popolo piuttosto che dallo Stato, per libera adesione piuttosto che per obbligazione, pensiero che egli sviluppa al più alto livello appunto nell’"Uomo in rivolta" del 1951.
Il pensiero della non violenza
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir
Non capire quanto la denuncia del comunismo sovietico di Camus andasse contro illustri pensatori del suo tempo - basta pensare alla diatriba con Sartre et Simone de Bouvoir - significa non capire il pensiero profondamente umanista di Camus. E tuttavia Camus non è nemmeno il difensore delle democrazie occidentali liberali, in senso economico. Nel pensiero radicalmente libertario di Camus, egli afferma che la proprietà è un delitto. Ma questa non è una critica marxista della società, ma una critica morale.
Per Camus, il capitalismo è violento nella sua stessa struttura. In una riunione del 10 maggio 1953, Camus denuncia quegli intellettuali che accettano la separazione fra lavoro e cultura: "la separazione - afferma - fra il lavoro intellettuale e morale, è il vero scandalo della nostra società", e questo va a detrimento sia del lavoro che della cultura. La civiltà che egli propugna non dovrà separare il lavoro dal suo creatore...ogni creazione nega la separazione del mondo del maestro e dello schiavo...ogni volta che in un uomo viene ucciso l’artista, la rivoluzione si indebolisce un po’ di più.
Camus aveva partecipato attivamente alla resistenza, ed ebbe difficoltà a riconoscersi nella non violenza. In "Le dialogue nécessaire" dichiara: "Credo che la violenza sia inevitabile...dico però che bisogna rifiutare ogni legittimazione della violenza", che è, a sua volta, necessaria e ingiustificabile. Credo che si debba considerarla come eccezionale e applicarla nei limiti possibili. Dunque, Camus non difende la non violenza assoluta, nel senso di "non far nulla". Non far nulla, per Camus, significa subirla e non opporvisi nessun limite. È in questo senso che Camus sostiene un pensiero anarchico e non violento. “È sufficiente che un uomo faccia del male a un solo essere della società umana, per escludersi lui stesso (...)".
La muta inquietudine del "Primo uomo"
Ma alla fine è nel "Primo uomo" (1998) che Camus ritorna a se stesso, alla propria muta inquietudine, in cui proietta la propria biografia, che va molto oltre la sua particolare storia familiare e si converte piuttosto in un trattato morale. Nel "Primo uomo" parla di se stesso, del suo essere orfano, di suo padre, morto sulla Marna nella prima guerra mondiale, e ne supera la storia quando il primo uomo diventa lui, il figlio, che sarà protagonista di un cambio radicale.
Camus, dunque, propone per il "primo uomo", una triplice posizione di fronte al mondo:
1. L’uomo sussiste a partire da se stesso a causa dell’assenza di un dio supremo. Quel Sisifo che si ribella, è il trionfo dell’uomo che ha superato - e forse sconfitto - Zeus, il padre. È dunque un primo uomo in cui trionfa la moralità. Ma è anche il primo uomo realmente morale.
2. La seconda posizione del primo uomo è la giustizia. Secondo Camus, la giustizia è la lotta per trovare la felicità nel mondo, creare la propria norma morale, che ha maggior valore che la speranza nella venuta di Dio e nella giustizia divina. Questo uomo nuovo è l’uomo del futuro, lontano da Dio, ma vicino a se stesso, fedele alla sua condizione umana.
3. Ma l’uomo morale incontra anche il mondo assurdo, che manca di senso. L’unica cosa certa è quel senso di assurdo che, vinto dalla morale assurda, permette l’incorporazione dell’uomo con il mondo. È un Camus che non giustifica il suicidio, è un Camus morale e giusto, che intende l’uomo come colui che affronta la vita con valore, perché a conquistare il mondo, non è lo straniero che vive estraneo nella vita, ma invece uno che sente il compromesso con se stesso e con la patria.
Per questo primo uomo, perciò, comprendere il mondo è ridurlo all’umano, marcarlo con il suo sigillo. È stato detto che Camus va chiarendo i suoi concetti filosofici ed il suo concetto ontologico dell’essere, dell’esistere ed il compromesso dell’essenza con l’esistenza nello sviluppo del suo pensiero e della sua opera, partendo dall’esistenza dell’uomo nel mondo. Questo mondo non si riflette in un universo superiore, ma il cielo delle forme si plasma nella moltitudine delle immagini della terra.
In equilibrio fra evidenza e lirismo - da artista qual è - Camus è l’unico che può permettersi di godere della chiarezza e dell’emozione. E tuttavia, l’uomo non può distanziarsi dal mondo per contemplarlo oggettivamente, perché la verità immediata lo riporta sempre ad una inquietudine attenta, attiva. L’uomo si mantiene solamente per la volontà di volere, minacciato continuamente dal vuoto. Mentre l’inquietudine ritorna sempre su se stessa, tuttavia incontra sempre la realtà esteriore, che appare nel contempo minacciosa e arricchente. In una inquietudine che è allo stesso tempo esistenziale ed ontologica, Camus - nello sviluppare i suoi concetti filosofici - ci propone l’enigma dell’ esistere ed il compromesso dell’essenza con l’esistenza, in uno stare nel mondo con responsabilità e senso morale.
In Camus riconosciamo la passione unita alla riflessione, l’esaltazione e la solitudine, l’uomo e il mondo, l’ inquietudine filosofica si forma diventando il suo leit motif filosofico. Kierkegaard parla di questo stato d’animo quando si soffre la dolce angoscia tentatrice che non è inquietudine di fronte al mondo, ma sorge d’una intima negatività che si trasforma in un monologo interiore, in una chiusura al mondo, in un isolamento. Al contrario, in Heidegger l’inquietudine appare legata ad un fatto cosmico, alla manifestazione del nulla, dalla quale affiora l’esistenza, mentre per Sartre l’inquietudine affiora quando afferma che l’io non può esistere senza essere inquieto, senza separarsi continuamente da se stesso, senza negarsi. Infine, per Camus "la mia possibilità è la mia realtà". Esisto realmente al di fuori di me, lottando per vivere e mi esteriorizzo per sussistere. Questo essere che sono io, in forma di non essere, è il fondamento del mio divenire, del mio processo.
L’ inquietudine è effettivamente, una manifestazione dell’ indeterminatezza dell’io, però grazie ad essa, io arrivo a definirmi, a esistere. Solamente accettando il mio stato inquieto, riconosco il mio essere e mi ritrovo immerso nell’esistenza, in un movimento senza fine, Per un inquieto, vivere è aspettare sempre senza arrivare mai alla quiete; infatti, man mano che la vita aumenta in complessità e ricchezza, si conferma anche l’inquietudine originaria. Così l’uomo inquieto di Camus, nella divisione dell’anima, nello sforzo di affermazione di sé, per il solo tentativo di mantenersi nel suo essere, arriva alla determinazione di esistere. Questo cammino e questa inquietudine non sono altro che il riflesso della prassi concreta. Comprendere il mondo è dunque ridurlo all’ umano, per segnarlo indelebilmente con la propria azione e la propria umanità.
Questo è Camus: l’uomo algerino di cultura francese, lo scrittore timido e schivo, spirituale e leggero, difensore della giustizia, appassionato dell’intelligenza e del cuore, che in un mondo senza senso, ha saputo vivere con gioia e con eleganza, dando testimonianza della sua moralità e integrità.
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Albert Camus, o il gran grido della ribellione umana
(Parte Prima)
(Parte Seconda)
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