L’OPINIONE DEL FILOSOFO

La città come enigma: Napoli e Parigi (Parte Seconda)

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Simmel, Adorno, Benjamin, Bloch, Krakauer: sulla rivoluzione urbana nel XX secolo.

cms_25185/1.jpgLa prima rivoluzione urbana per le grandi città - a partire da un milione di abitanti secondo i criteri della storiografia urbana - come la rivoluzione tecnologica, deve essere collocata nella prima metà del XX secolo. Le grandi città si basano su un’economia più diversificata, che consente una maggiore stabilità e continuità sociale; quindi, quando si parla di cultura urbana, questo sarà il contesto spaziale e temporale. Le grandi capitali europee, comprese sia Parigi che Berlino, furono scenari eccezionali di questi cambiamenti, ispirando utopisti come Fourier o artisti rivoluzionari come i surrealisti, recuperando l’energia capace di risvegliare la società dal suo letargo ideologico, dal fantasma paralizzante del totalitarismo nazista o capitalista.

La lettura della postmodernità ha bisogno di una preistoria, e questa preistoria è costretta a scavare nei siti della modernità. L’arte d’avanguardia esprime quella preistoria della modernità. La tanto decantata “crisi moderna” non può essere dichiarata solo come frammentazione, come rottura. Già dal prologo del suo testo, David Frisby nel 1992, ci invita a lasciare per un momento il nuovo, a ritirarci nelle voci e nelle tracce del passato. Quel passato che continua ad investigare l’alienazione, la mercificazione sociale, ragione progettuale, la marginalità, la disgregazione della coscienza storica. Nel dialogo che Frisby instaura fra i critici della modernità, c’è il tentativo di rispondere ai presupposti della modernità, partendo dalla critica della doppia ragione moderna. Passato storico, eterno presente, che si discosta dalla mera ripetizione dell’arte e della cultura borghesi. Cultura e arte definitivamente negate dallo storicismo unidimensionale, interessate ai nuovi modi di vita e alle nuove creazioni del XIX secolo.

Georg Simmel (1858-1918), cerca una teoria che spieghi la differenziazione e la frammentazione sociale. Simmel cerca di tracciare dalla letteratura come nuovo modo di fare filosofia l’individualità del soggetto e la sua peculiare costituzione a partire dalle sue rappresentazioni. Cerca il permanente, l’oggettivo, il categorico del mondo umano di fronte alla tragedia della ragione moderna, nel tentativo di giungere a una concezione totale del mondo e a un’interpretazione del senso dell’essere.

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Theodor W. Adorno (1870-1946), a Napoli fa rivivere un periodo della storia intellettuale europea in cui il romantico paesaggio del Golfo di Napoli diventa una calamita per scrittori, poeti e filosofi. Le esperienze di Adorno pongono le basi per il suo successivo pensiero filosofico, ispirato sia dal mondo naturale che dalle sue discussioni con altri intellettuali come Walter Benjamin e Alfred Sohn-Rethel.

Siegfried Krakauer (1889-1966) continua in qualche modo il pensiero weberiano, il dominio della ragione strumentale e le conseguenze del processo di razionalizzazione, mettendo in luce il processo di ottimizzazione della produzione e delle relazioni sociali, mentre Benjamin si sofferma sul processo di scambio e circolazione delle merci e il conseguente feticismo della merce.

Sia Simmel che Krakauer e Benjamin indagano le dimensioni sociali della modernità: la città, le metropoli borghesi. Simmel cammina a Berlino ed enfatizza il processo di scambio e circolazione all’interno dell’economia monetaria sviluppata. Krakauer, come Benjamin, la contrappone a Parigi. Ma, come comprendere le prime città senza parlare della nuova struttura sociale, del nuovo modo di produzione che esse generano?

In Simmel, la metropoli sembra essere portatrice di una rete complessa, un labirinto di relazioni sociali, scambi transitori, fugaci e fortuiti, che richiedono la partecipazione della personalità individuale. L’esistenza interiore diviene oggetto di ricerca sociale: nell’interiorità, l’individuo cerca di proteggersi dal bombardamento costante a cui è sottoposto, quella distanza sociale che fonda il punto di partenza della sociologia delle emozioni e dei sensi.

Krakauer legge i geroglifici sociali che la città genera, cercando i frammenti di un’esperienza perduta che deve essere ricostruita. Immagini espressive simili ai sogni, in cui la sua analisi è quella dell’archeologo. Krakauer nega l’ottimismo confinato all’arte individuale di Simmel: al contrario, per lui la cultura di massa della modernità diventa insieme ambigua e precaria. In un’epoca in cui i confini tra sociologia e filosofia non erano chiaramente definiti, gli studi impressionisti di psicologia sociale di Simmel o Krakauer cercano di tracciare un’immagine di una città per la quale non esistevano ancora i parametri teorici ed esperienziali. Identificando l’urbano con la moltitudine o la massa, la città viene vissuta come shock, per la quale le istanze di potere non hanno ancora elaborato strumenti di controllo.

cms_25185/3.jpgBenjamin affronta il materialismo del capitalismo e la conseguente espansione di una forma limitata di ragione strumentale, il suo volto nascosto: l’impoverimento dell’individualità, concentrando la sua analisi sugli ambiti apparentemente poco influenzati da questo processo di razionalizzazione. Nel “Libro dei passaggi” Benjamin caratterizza la sua critica della modernità dalla città e dai suoi molteplici labirinti. Il suo oggetto è il labirinto della stessa coscienza umana con le sue fantasmagorie di illusioni. È scavando in essa che cerca di svelare la collocazione originaria della modernità. L’obiettivo di Benjamin è cercare le origini della modernità nel XIX secolo, presentare alla coscienza le fantasmagorie del capitalismo.

Benjamin percorre le notti dei labirinti urbani alla ricerca degli “scarti” di quella società, che altro non è che il prodotto della razionalità moderna, che si presenta come sviluppo scientifico-tecnologico, e che emancipa la ragione nella guerra e nella possibilità di trasformare tutta la realtà. Epoca di razionalizzazione sociale, industrializzazione di massa, gli individui si spersonalizzano, perdono la loro identità e sono oggettivati ​​da strutture omogenee e universali, lo Stato come grande totalizzazione progettuale onnicomprensiva. Benjamin esce per difendere il tema della ragione. Investigando Napoli, come momento di revisione culturale e dispersione di vita, la modernità potrebbe essere indagata come un eterno presente, come una realtà contraddittoria e transitoria. Benjamin scava nei segreti del quotidiano le radici dell’eterna e presente contraddizione moderna, rivolgendo uno sguardo critico alla modernità, di fronte alla questione postmoderna.

Tutti questi gli autori presentano una posizione antagonistica rispetto alla modernità, denunciando ciò che è nascosto dalla razionalità: l’irrazionale, l’istintivo, la violenza, i processi di massificazione sociale, concependo la loro missione nei confronti della nuova città delle masse come una raccolta degli aspetti dispersi di un oggetto di indagine che li sovrasta, nel tentativo di dare un resoconto fedele del dinamismo convulso delle masse urbane. Considerando l’esperienza della modernizzazione e le profonde trasformazioni che essa implica, l’urbano sarà prefigurato in questi autori come un corpo di modernità, come ha visto David Frisby nel 2001.

cms_25185/4.jpgGeorg Simmel caratterizza l’urbano secondo il nervosismo della vita di strada, mentre Krakauer si sente particolarmente interessato alla cultura di massa che nasce in questo contesto, soprattutto nel cinema, paladino indiscusso della nuova industria dell’immagine culturale, ma, in generale, per tutti quei motivi in ​​cui incanala quel nervosismo e la potenzialità rivoluzionaria delle moltitudini verso una disciplina progressista che ha trovato la sua prima estasi nella militarizzazione della massa sotto il regime nazista: la massa come ornamento del potere.

Benjamin, da parte sua, fonde la prospettiva impressionista e la critica, oltre ad aprire una possibilità utopica per la questione urbana. Il suo approccio alla città industriale capitalista, quello che egli vive nei suoi momenti più drammatici, va letto nel contesto di una teoria generale dell’esperienza, in cui la teoria della sensibilità occupa un posto centrale, alla luce dell’esperienza frammentaria della città industriale. Benjamin non caratterizza l’urbano né come un’esperienza impoverita, né come uno spazio pubblico per l’incontro. L’urbano riceve la sua nota fondamentale dall’ambiguità. Dopo un rifiuto istintivo del labirinto urbano, Benjamin si impegna in una lotta interiore nel tentativo di leggere in modo positivo la novità implicata nelle nuove condizioni dell’esperienza. L’urbano, nonostante la sua posizione progressista e persino rivoluzionaria, non è definito in opposizione al mito. Il mito vive nell’urbano. Questa affermazione costerà a Benjamin (BW, 1973) la necessità di precisare la sua posizione sia rispetto all’urbano che al mito.

Walter Benjamin, da presupposti marxisti sicuramente eterodossi, sottolinea la centralità della trasformazione della struttura materiale, concependola sempre in modo molto sfumato. Se sovrastruttura e infrastruttura sono in relazione per Benjamin in termini di espressione e non di riflessione, questa stessa logica si estenderà all’interno della stessa sovrastruttura. L’esperienza passa nel suo schema per assolvere alla funzione di infrastruttura della sovrastruttura, l’inconscio sensibile su cui si svilupperà qualsiasi espressione culturale. L’approccio di Benjamin all’urbano è direttamente correlato al fenomeno del moderno che collega con la frammentazione dell’esperienza, motivo centrale nei suoi studi e che ha suscitato tante letture contraddittorie. La difficoltà di omogeneizzare la concezione della modernità di Benjamin è innegabile ed è ancora più difficile cercare di trovare in questo autore un compromesso con la modernità borghese iniziata nel 1789.

La modernità viene letta non come mera coscienza politica, ma come una rivoluzione ben più profonda, che assume i connotati di universalità poiché introduce una trasformazione senza ritorno nella sensibilità umana. Ciò che emerge qui è, quindi, di una nuova natura e di un nuovo senso comune. Il moderno si colloca su un terreno molto più elementare di quello meramente politico-discorsivo. Benjamin cerca in questa esperienza i tratti distintivi di una nuova era, in un periodo in cui le condizioni di vita erano estremamente precarie, sia materialmente che, ed è ciò che Benjamin e Heidegger hanno potuto intuire, simbolicamente: la precarietà dell’abitare supera anche la mancanza di abitazione.

Sia Krakauer che Benjamin hanno registrato nell’industria culturale i principali mezzi del capitalismo per incanalare l’ansia del proletariato urbano verso il desiderio di lavoro e di guerra. L’industria dello spettacolo e del tempo libero è stata letta sia da Adorno che da Horkheimer in senso negativo, anche se la posizione di Benjamin o Krakauer è, a questo riguardo, più sfumata. La prospettiva aperta da Benjamin riguardo alla città è stata, in qualche modo, proseguita dagli anni Sessanta da molteplici pensatori più o meno isolati, tra i quali Guy Debord e Michel Foucault. Foucault identificherà la logica dell’urbanistica e quella del capitale, seguendo le intuizioni di Benjamin: “I modi di dirigere l’accumulazione degli uomini hanno consentito un dispiegamento politico rispetto alle forme di potere tradizionali, rituali, costose, violente, che, presto cadute in disuso, sono state sostituite da tutta una raffinata e calcolata tecnologia di sottomissione. Infatti, i due processi, accumulazione degli uomini e accumulazione del capitale, non possono essere separati”.

Mentre la modernità non osa guardare ai propri margini, al corpo urbano minimizzato, come l’umano, si impedisce ogni sovvertimento della disciplina. La modernità genera immagini risplendenti di sé, fantasmagorie, ma separa e nasconde le rovine che penetrano tutto lo spazio nella dittatura del capitale, la natura della merce si rivela nel modo più drammatico: se la città è ambigua, dunque, potenzialmente liberatoria, è anche schiavizzante. Lo shock e lo sconcerto generale per il nuovo fenomeno della città della folla hanno permesso a Simmel, Adorno, Benjamin e Krakauer di pensare all’urbano in un modo ancora molto attuale. Ci servirà per interrogare a fondo l’urbano da una realtà postmoderna…quella della Napoli attuale

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Napoli immaginaria e Napoli reale

Nel movimento - quale migliore auspicio per il 2022 –

Napoli ritroverà il suo tempo perduto”.

(Ottavio Ragone, editoriale La Repubblica, 2 gennaio 2022)

“Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no”.
(Luciano De Crescenzo)

“Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare”.
(Erri De Luca)

Tra la Napoli immaginaria e la Napoli reale esiste un divario amplissimo, quale che sia l’entità dei risultati conseguiti sul piano reale. Raccontare l’Italia senza mettere Napoli al centro è un atto autolesionistico che il Paese si permette da un secolo. Eppure, Napoli era la città italiana più importante al momento dell’Unità, la vera capitale del Paese, di chi compi l’annessione quasi con la forza al paese unificato. Raccontare le sue luci e le sue ombre con onestà e coscienza è molto più difficile che raccontarne solo le luci, perché per raccontare i mali di Napoli, per farlo realmente, bisogna andare oltre la mera cronaca. Per farlo, bisognerebbe partire da 160 anni di colonialismo interno. Cominciare con la più grande e feroce predazione che la città abbia visto, iniziata nel 1860 e proseguita con lo smantellamento di tanti aspetti della sua cultura, come della sua industria. Eppure, Napoli ha dettato mode, usanze e costumi, ed è stata la più popolosa città italiana per secoli, fino al primo ventennio del Novecento.

Dopo la guerra, a Napoli, la città più bombardata d’Europa, le cose non sono migliorate, anzi: i fondi del piano Marshall mal distribuiti, l’industrializzazione, gli investimenti mancati, lo scempio ambientale, la cassa del Mezzogiorno, i fondi del post-terremoto in Irpinia, la gestione della cosa pubblica e dei siti archeologici e culturali, gli scippi continui e la mancanza di lavoro, fino alla vicenda Whirlpool che è solo l’ultima in senso temporale….fino alla desertificazione economica e industriale, in una sistematica e scientifica opera di distruzione che non può non avere ripercussioni sul tessuto sociale e politico della città, di cui la criminalità e la cattiva politica sono effetti e non cause. Valga ricordare che se si toglie bellezza ai popoli, questi si abitueranno al degrado e si degraderanno a loro volta, convincendosi che sono "cosa ’e niente"…

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Eppure, scrivere di “Napoli terzo mondo d’Europa”, come ha fatto Le Figaro il 2 ottobre 2021 ha suscitato reazioni a scoppio ritardato, guadagnando una ribalta un po’ tardiva sulla stampa, particolarmente dalle parti di Napoli. Sarebbe ben difficile ribattere colpo su colpo alle accuse che la giornalista d’oltralpe ha scaricato sulla città: le spaventose cifre della disoccupazione soprattutto giovanile, appena compensate dalle 170 mila famiglie assistite dal reddito di cittadinanza, i trasporti che non funzionano, il fallimento di Bagnoli, i disservizi e il degrado urbano e, più insopportabile di tutto, la piaga della malavita organizzata. Negare l’evidenza sarebbe difficile.

Napoli, tuttavia, esprime la volontà di cambiare passo, di venire finalmente a capo di qualcuno tra i suoi tanti problemi, di ritrovare una sua identità nel rispetto dell’autenticità della sua storia, per evitare l’agguato della più pericolosa delle soluzioni: fare di Napoli una sorta di fenomeno da baraccone sociologico. Como afferma Angelo Scelsi il 17 novembre 2021 (ANSA), il reportage francese non ha provocato reazioni scomposte ma riflessioni. Perché la città partenopea cerca di uscire da cliché e folclore, per trovare una nuova identità.

Senza una rete all’opera nei territori spesso inesplorati del bene comune, Napoli sarebbe già morta. A tenerla in vita è tutto ciò che anche in silenzio si oppone alla sua deriva, è la speranza, ma occorre che essa venga giustificata dai versanti giusti. Non resta in silenzio, e alza più che può la voce la Chiesa locale: quando si tratta di difendere chi più soffre i “mali di Napoli”, i poveri e i vessati. Napoli, la “terra dei diavoli” di Benedetto Croce è anche la prima diocesi al mondo per numero di cause dei Santi. Pur con i suoi affanni, Napoli è un gran laboratorio, il più fervido del Paese, e gli uomini di cultura sanno che l’Italia ha bisogno di Napoli, della sua storia, della sua cultura, delle sue emanazioni internazionali.

FINE

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La città come enigma: Napoli e Parigi (Parte Prima)

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Gabriella Bianco

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