LA CORTE UE: IL "CANNABIDIOLO" E’ LIBERO

Se non v’è certezza di nocività il commercio non va limitato

Giustizia_7_12_2020.jpg

cms_20242/apertura.jpgInevitabile. Come uno spavento quando un tuono è inaspettato. Ma questa volta il tuono era ovvio che arrivasse, sicché lo spavento non deve esserci. Il cammino verso una Europa Unita è una gran bella cosa ma adottare principi comuni significa accettare situazioni scomode o rinunce dolorose. Ne sa qualcosa chi, partendo dalla convinzione che il “cannabidiolo” sia una sostanza stupefacente, sarebbe nettamente contrario alla importazione nel proprio Stato anche se prodotto in altro Stato UE. Purtroppo per questo qualcuno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che nessuno Stato membro può vietarne la commercializzazione se questo è stato legalmente prodotto in un altro Stato membro. Il fatto scaturisce da una condanna penale del Tribunale francese nei confronti di due gli ex amministratori di una società che aveva commercializzato sigarette elettroniche contenenti la sostanza prodotta nella repubblica Ceca e “assemblata” in Francia, poiché tale sostanza non rispetterebbe quelle imposizioni della normativa interna che, nel tutelare la salute pubblica, ne precluderebbe qualsiasi commercializzazione. Il provvedimento ripercorre una articolata disamina tecnica della sostanza su cui lasciamo ai lettori della sentenza il piacere della analisi più approfondita, perché ciò che ci sembra più interessante segnalare sotto un profilo generale è la considerazione della Corte UE sulla normativa interna - in questo caso della Francia ma il principio vale per tutti gli Stati membri - secondo cui essa va disattesa allorquando risulti basarsi su dati scientifici non sufficientemente condivisi e certi. La Corte ha infatti ritenuto che la normativa francese violasse il divieto posto dall’art. 34 TFUE contro i limiti al commercio nella UE e che non trovasse legittimazione in uno dei motivi di interesse generale stabiliti dall’art. 36 TFUE. Tale principio è interessante, al di là del parere che ciascuno può esprimere nello specifico argomento, perché punta alla sostanza ed è come se raccomandasse a tutti i legislatori della UE di prestare attenzione a quando si elaborano proposte legislative che impongono divieti sul presupposto di una nocività di un prodotto che non è suffragata scientificamente ma è basata su posizioni ideologiche o, addirittura, su pregiudizi. Sembra un principio corretto, a nostro avviso, anche se poi i contorni di quello dovrebbe essere un dato scientifico vicino alla “certezza” restano sfumati.

Nicola D’Agostino

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