LA CULTURA DELLA PRODUTTIVITA’ CONTRO IL DECLINO (I parte)

Se gli italiani rivestissero la produttività di significato etico ed il danaro di valore morale, potrebbero accrescere il reddito e accedere nuovamente al club del G7

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Il libro di Luca Ricolfi intitolato “La società signorile di massa” è stato pubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo, avente sede a Milano, nel 2019. Il libro, di 267 pagine, è composto da una introduzione e da cinque capitoli, ovvero: “Che cosa è la società signorile di massa”, “I pilastri”, “La condizione signorile”, “La mente signorile”, “Il futuro della società di massa”.

Introduzione.Nell’introduzione l’autore fa riferimento ad un insieme di modificazioni che hanno cambiato l’economia italiana. Alcune delle più rilevanti modifiche sono: crescita delle diseguaglianze; crescita dei disoccupati; mancanza di diritti essenziali per molti milioni di italiani; aumento dei pensionati a 13 milioni di unità; esclusione dei giovani dal mercato del lavoro; utilizzo degli immigrati come forza lavoro in agricoltura ed edilizia. Tuttavia, accanto a questi elementi critici vi sono anche degli aspetti che mostrano la presenza di una certa abbondanza economica, almeno per una parte della popolazione. L’autore sottolinea che le informazioni distorte vengono ad essere generate dalla politica, dai media e dagli intellettuali che impediscono di avere uno scenario globale dell’economia italiana pure nella presenza di evidenti contraddizioni. Inoltre, a pagina 19 opera una sintesi delle “narrazioni” maggiormente utilizzate per la descrizione di quel periodo storico, che si estende più o meno dalla metà del ‘900 ai giorni nostri, richiamando alcuni concetti come quello di “società postmoderna”, “società postindustriale”, “società postcapitalistica” ad indicare appunto dei tentativi di descrizione omnicomprensiva dei processi di cambiamento in atto nel mondo occidentale. Tuttavia, l’autore aggiunge a queste varie e diverse analisi, oltre alla sua specifica interpretazione, individuata dall’espressione “società signorile di massa”. La definizione di quest’ultimo concetto è introdotta dallo stesso autore a pagina 21: «Per società signorile di massa intendo una società opulenta in cui l’economia non cresce più e i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono più numerosi dei cittadini che lavorano».

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L’elemento centrale della società signorile di massa è costituito proprio da un gruppo di persone che pur non lavorando e non producendo nulla hanno la possibilità di consumare il sovraprodotto senza partecipare alla sua formazione. La dimensione dello sfruttamento, dunque, cambia: esso non viene più realizzato dall’imprenditore, che comunque si impegna a creare il sovrappiù. Il vero sfruttatore è questo nuovo tipo di “signore” che non partecipa in nessun modo al processo produttivo pur acquisendone i vantaggi.

L’autore sostiene che questi fenomeni fossero in parte presenti anche nel secondo dopoguerra anche se in misura contenuta, poiché in quel periodo l’economia italiana continuava a crescere e la diffusione dei consumi opulenti era parziale. Ricolfi sottolinea che la società signorile di massa è nata con la crisi del 2007-2008, che ha eliminato la crescita economica pure nella conservazione dei consumi opulenti. A queste due condizioni - ovvero bassa crescita e consumi opulenti - va aggiunto il processo di cambiamento delle fonti di approvvigionamento dal reddito alle rendite. Pertanto la società signorile di massa è caratterizzata dai seguenti elementi:

  1. il numero dei cittadini che non lavorano ha superato il numero dei cittadini che lavorano;
  2. i cittadini che non lavorano hanno comunque accesso a dei consumi opulenti;
  3. l’economia è entrata in stagnazione.

Capitolo I: “Che cosa è la società signorile di massa”.La società signorile di massa è basata sulla presenza di una classe di persone che pur non lavorando effettivamente riescono comunque a consumare in modo opulento. Il numero degli italiani che non lavorano è pari al 52% e hanno superato gli italiani che lavorano, pari a circa il 39,9%. Inoltre nella famiglie italiane vi è un conflitto costituito dalla maggioranza che consuma senza lavorare e da una minoranza che sostiene il consumo di tutti. Il tasso di occupazione in Italia è basso: il nostro è il penultimo paese OCSE prima della Grecia per tasso di occupazione, con un valore pari a circa il 45%. I cittadini disoccupati comunque consumano in modo opulento; ciò significa che hanno accesso alla casa, alle auto e alle vacanze. Tuttavia l’economia italiana è stagnante, il suo tasso di crescita è fermo. Dal 2009 al 2015 il PIL è cresciuto di meno dell’1,00%. Chiaramente questa variazione porta con sé un cambiamento di carattere sociologico: in una società che cresce è chiaro che esiste un gioco a somma positiva dove i progressi di uno possono essere i progressi dell’altro, mentre in una società che stagna il gioco della distribuzione diventa per forza a somma zero, dove i progressi di uno sono i fallimenti degli altri.

Capitolo II: “I pilastri”. Ci sono delle motivazioni che hanno contribuito alla creazione della società signorile di massa, ovvero la presenza di forme di accumulazione di capitale avvenute nelle generazioni precedenti. A questa condizione occorre aggiungere il peggioramento della scuola sotto il punto di vista qualitativo, che ha portato a fenomeni di inflazione dei titoli di studio e frustrazione professionale-lavorativa di molti titolari di lauree poco produttive. L’autore dice che in fondo i due fenomeni sono connessi, in quanto la presenza di una forma di accumulazione nella generazione precedente ha dato alle generazioni successive la possibilità di entrare tardi nel mondo del lavoro e di abbassare l’asticella della formazione scolastica e professionale. L’autore attacca specificamente la scuola e l’istruzione, sostenendo che in tali contesti la produttività è in diminuzione da almeno cinque decenni. La qualità degli studenti è notevolmente peggiorata nel passaggio dal sistema formativo degli anni ‘60-’70 a quello attuale. Inoltre l’abbassamento degli standard degli studi, insieme all’allungamento dell’istruzione, ha peggiorato gli standard della popolazione avente redditi bassi in quanto ha ritardato l’ingresso nel mondo del lavoro e dall’altro lato ha anche ridotto le loro specifiche competenze professionali. Inoltre, anche la disoccupazione volontaria sarebbe connessa all’abbassamento del livello di istruzione: i giovani, anche se dotati di titoli di studio farlocchi, comunque hanno delle aspettative che mancano di trovare una corrispondenza nell’economia reale e per questa motivazione preferiscono rimanere disoccupati piuttosto che accettare dei lavori che rappresenterebbero un downgrade delle loro aspettative. Viene così ad essere determinata l’attività di rinuncia al mercato del lavoro, nell’attesa di quell’occasione che sia corrispondente alle proprie aspettative e che purtroppo potrebbe non arrivare mai. Chiaramente il numero delle persone che avendo dei titoli di studio aspira a delle posizioni di prestigio sociale tende a crescere, anche se effettivamente i posti disponibili nella gerarchia restano sostanzialmente costanti. Ne deriva che inevitabilmente crescono i fenomeni di frustrazione sociale e invidia, che diventano delle vere e proprie ritirate dal mercato del lavoro, togliendo all’economia italiana l’importante contributo di una forza lavoro giovane. Chiaramente queste persone possono permettersi di ritirarsi dal mercato del lavoro in quanto le famiglie d’origine hanno risparmiato anche per loro; tuttavia questa condizione è pericolosa e potrebbe comportare nel futuro un fallimento sostanziale delle scelte di vita di una intera generazione di NEET. La disoccupazione volontaria dei NEET è quindi il prodotto congiunto di due fenomeni: l’accumulazione dei padri ed il processo di abbassamento degli standard scolastici.

Infine, esiste un’altra motivazione che consente l’esistenza del consumo di tipo opulento: la possibilità da parte degli italiani di sfruttare ampiamente la popolazione degli immigrati per ottenere una serie di vantaggi di carattere economico a basso costo. L’autore chiama questa possibilità “l’infrastruttura paraschiavistica”, cercando di fornire una quantificazione del fenomeno e giungendo alle seguenti conclusioni dopo un ragionamento di alcune pagine:

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Schema riportato dall’autore a pagina 79.

Vi sono quindi secondo Ricolfi circa 2,7 milioni di immigrati che vengono sfruttati dalla popolazione italiana, ai quali egli aggiunge ulteriori operatori nei settori dell’economia illegale ed informale, fino ad arrivare a circa 3,5 milioni di persone.

Angelo Leogrande

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