LA DITTATURA DELL’ALGORITMO

Un potere strisciante e self driven

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cms_22625/1.jpgNon c’era probabilmente bisogno di sperimentare gli effetti della pandemia per comprendere come le nuove tecnologie di comunicazione, in primis i social media, abbiano condizionato a dismisura le relazioni e i comportamenti collettivi. Scienziati, studiosi, esperti di vari settori hanno stabilito come gli attuali enormi flussi di informazione siano ormai sottratti a una iniziale selezione naturale e siano oggi invece strutturati sempre più dalle tecnologie di comunicazione digitale. Sono i prodotti del mondo digitale per l’appunto ad aver dato un imprimatur decisivo ai cambiamenti nella sfera sociale che vanno dalle relazioni interpersonali fino ai modi e ai tempi della politica di raggiungere il consenso di massa (Chomsky docet). Bisognerebbe allora concentrarsi e confrontarsi assieme sulle conseguenze di cambiamenti decisivi delle nostre relazioni oggi ancora poco chiare e soprattutto poco comprese e studiate.

L’ecosistema dell’informazione di cui facciamo parte ha acquisito un fortissimo impatto sulla società in ragione della pervasività della tecnologia nelle nostre vite e ha conseguentemente prodotto agenti patogeni come la disinformazione veicolati da social media usati in maniera disinvolta e spesso eterodiretta da parte di utenti inconsapevoli.

cms_22625/2_1627183982.jpgLe nuove sfide globali (pandemia, riscaldamento del pianeta, povertà) non possono essere risolti localmente ma devono essere affrontati come sfide globali comunicate su reti mondiali e per questo diffuse perché collegate da tecnologie digitali come smartphone e social media; è allora necessario avere consapevolezza degli strumenti forniti dalle tech company per comprendere perché poi si manifestino determinati comportamenti collettivi (razzismo, hate speech, complottismo, ecc.). L’architettura dei social network e le fonti di informazione presenti in essi provengono da menti e decisioni di tipo ingegneristico finalizzate solo per rendere massima la redditività e il profitto delle aziende. La tecnologia e il digitale hanno prodotto cambiamenti sociali non solo epocali ma anche non regolamentati in particolar modo per ciò che riguarda il cambiamento del comportamento degli utenti. I cambiamenti sociali sono stati a lungo sottovalutati per ciò che riguarda i loro effetti problematici e significativi all’interno della struttura della rete che permette di avere contatti sociali con una massa di individui non paragonabile a nessun periodo storico del passato.

Effetti collaterali di fenomeni come echo chamber e polarizzazione delle posizioni non sono altro che le caratteristiche più evidenti di macro strutture che possono erodere la fiducia nell’altro e favorire fenomeni di grave instabilità politica. Al centro di processi che scivolano via dal nostro diretto controllo, vi sono gli algoritmi, sistemi progettati per massimizzare la redditività, insufficienti o, come direbbe Massimo Chiriatti, egoisti nel promuovere una società giusta e informata. L’effetto della tirannia algoritmica ha come effetto la produzione di schegge impazzite di disinformazione che viaggiano velocissime e senza controllo con la produzione spesso di danni collaterali come l’influenza che date informazioni veicolate su specifiche piattaforme possano rivelarsi tossiche per l’intera platea di utenti che ne fanno parte.

cms_22625/3.jpgCome tutti gli ecosistemi, dunque, anche quello della rete è soggetto a effetti destabilizzanti dati dalle azioni sbagliate messe in atto contemporaneamente da una società in un lasso di tempo illimitato. La specie algoritmica alla base delle nostre scelte non solo comunicative ma anche sociali, decide in una modalità detta humanless (cfr. #humanless. L’algortimo egoista di M. Chiriatti, Hoepli editore), ovvero attraverso caratteristiche che pur non appartenendo alla natura umana provengono da azioni umane, come immettere dati e produrre incessantemente interazione, interazione che non fa altro che aumentare mano a mano che gli oggetti rimpiccioliscono e diventano portabili. Il mondo è algoritmico perché il machine learning da cui è alimentato lo porta ad evolversi sempre più grazie alle informazioni e alle specifiche immesse volontariamente da miliardi di operai della rete chiamati per il politically correct, utenti. Se dunque agli algoritmi abbiamo lasciato l’opportunità e la responsabilità nel prendere ogni decisione che ci riguardi, è necessario che chiunque si occupi di comportamento collettivo, in particolar modo all’interno delle aziende tecnologiche, si doti di una popperiana patente che non solo li renda maggiormente responsabili, ma che avverta i produttori di contenuti e delle relative piattaforme su cui sono veicolati, a rispettare le persone prima che gli utenti e nel contempo sviluppino sistemi che possano promuovere in primis il benessere, mettendo in disparte, senza però escluderla, la possibilità di creare valore per gli stackholder (rubandoci subdolamente la nostra attenzione collettiva).

Andrea Alessandrino

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