LA DIVINA ETNA... SITO NATURALE " PATRIMONIO DELL’UMANITA’ " I^

Dedicato a Re Artù e alla Fata Morgana

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Etna, dimora di miti

Un cavaliere non può mai dimenticare la sua spada. Un re non può separarsene, non può non destinarle il pensiero. E se la spada, compagna di imprese, è malata, a essa pone mente, pur al termine della propria vita, chi la impugnò con leggendaria prodezza. La magia può sanare. Occorre un luogo in cui i miti si condensano.

Re Artù, ormai in punto di morte, voleva che la sua spada spezzata, quella misteriosa Excalibur brandita con coraggio, ritornasse al pregresso splendore. Un modo, forse, per ancorarsi a una ferrea eterna beltà, intrisa di giovinezza.

A re Artù apparve San Michele Arcangelo. Come non esaudire il desiderio ultimo di un uomo giusto?

Ed ecco che Artù venne trasportato angelicamente per i cieli, fino a raggiungere la lontana Sicilia. San Michele depose l’anziano re sull’orlo del cratere centrale dell’Etna, sicché, grazie al fuoco del vulcano, grazie alla fucina degli dei, egli riuscì saldare i tronconi di Excalibur. Lieto della ritrovata perfezione della sua spada, il re si addormentò in una caverna. Quando, risvegliatosi all’alba, si accorse dello scenario meraviglioso che la sommità gli offriva, comprese come la sua saggezza di anziano guerriero fosse utile al mondo, tanto da essere vieppiù una sciagura chiudere per sempre gli occhi. Fu per questo che rivolse a Dio la preghiera di poter vivere ancora, al fine di divenire garante di quella porzione di paradiso terrestre e dei connessi propositi dell’Altissimo. Iddio esaudì la richiesta.

Artù aveva una sorella, la bellissima Fata Morgana, che viveva tra l’Etna e lo Stretto di Messina. A lei si affidò per edificare insieme un castello regale, proprio dentro il cratere, dal quale dominare panoramicamente il circondario, vigilare cotanta ricchezza naturale e impedire che il vulcano distruggesse Catania. Così fa da allora.

Morgana, da parte sua, ancora oggi esce dal mare sopra un grande cocchio luccicante tirato da sette cavalli bianchi, traccia certi magici segni nel cielo e poi lancia tre sassi nell’acqua; e mentre nell’aria appare un chiarore abbagliante, il mare fra Reggio di Calabria e Messina si gonfia, per poi divenire liscio come l’olio e trasparente come il cristallo. L’orizzonte si fa vicino e, in mezzo allo Stretto che separa l’isola di Trinacria dal continente, spuntano, come sospese, immagini irreali di città con campanili e castelli, illuminate dai colori dell’iride. Sì, proprio là dove è concepito il mito di Scilla e Cariddi, dove il Tirreno si fonde con lo Ionio, dove la terra può tremare con violenza, per quella focosità cui partecipa la non lontanissima Etna. Il fuoco auspicato e temuto, che ripara e che distrugge. Il fuoco che ridona essenza a Excalibur e che minaccia i figli dell’antica Katane.

Re Artù è baluardo per la città costiera. Egli sta sempre sull’Etna ed è grazie alla sua presenza se nulla accade di negativo per Catania e per tutti i centri abitati. Sennonché, talora Artù interrompe la sua sorveglianza, andando in Inghilterra per portare in dono, ai bambini, i frutti e i fiori siciliani, onde renderli partecipi della meraviglia del suo nuovo domicilio in una terra lontana da Albione. Ed è proprio in queste occasioni, approfittando dell’assenza del valoroso re, che il vulcano, incontrollato, può scatenare tutta la sua rabbiosa energia, tra lava, lapilli, cenere, boati e tremori.

Eruzione e Cassazione

Forza Etna!”. Così proferisce l’inopportuno vociare da stadio di calcio di chi, per dozzinali rivalità sportive o forse per scellerato strisciante divisionismo fattosi razzismo, auspica l’azzeramento di popoli e città con il calore e il manto roccioso lavico. Similare al “forza Vesuvio!”, condanna chi lo dice, senza potersi vantare l’esimente della goliardia, giammai ammissibile parlando di qualcosa di serio come un evento disastroso. Forse è il timore della sicula genialità, che induce alle sciocchezze e all’urticare? E c’è forse, nell’auspicio paradigmatico della soppressione per opera dell’energia della natura, una sorta di sperato contrappasso, sicché possa perire chi, a Catania come a Napoli, solitamente si giova della carica vitale riconducibile al dominante vulcano?

cms_20585/2v.jpgChe poi “Forza Etna” non sia razzismo, per come asserito dalla Suprema Corte in recenti pronunce, non deve fare gioire color che proferiscono: i giudici disapprovano pur quando – dovendosi attenere ai limiti della previsione delittuosa – non possono irrogar pena.

Diciamolo con franchezza. Non c’è spazio per il nulla, per l’assenza di essenza, per il vuoto a (dis)perdere. E allora, quando le asserzioni travalicano i limiti dell’accettabile e divengono un concentrato di antitesi vana e preconcetta, nonché di subcultura o inciviltà, vanno “marchiate a fuoco”, in un certo senso “vulcanizzate”, qualificandole come il male; magari non assoluto, ma sempre male. L’Etna, il Vesuvio e …’o malamente.

Chissà perché, vengono in mente le parole del principe di Salina nel “Gattopardo” – forse perché la parola del Principe era “Cassazione”? –. Uno degli ufficiali inglesi, che era presente allo sbarco dei Mille di Garibaldi, aveva chiesto al principe che cosa veramente venissero a fare, qui in Sicilia, quei volontari italiani. Ebbe la seguente risposta: “They are coming to teach us good manners. But they won’t succeed, because we are gods. Vengono per insegnarci le buone creanze, ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi.”

La maestà dell’Etna. Sulle tracce di Idda, a muntagna.

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L’Etna è un massiccio vulcanico, non un semplice vulcano. Vedendone una cartina geografica, si coglie la presenza di tantissimi crateri, per i quali non è escluso il “risveglio”, a varie altitudini, in più punti; così come è ben possibile che si creino nuovi crateri, nuove fessure. Ne consegue che la lava può sgorgare ovunque e tendere al coinvolgimento di aree – compresi centri abitati – posti all’interno del perimetro dell’Etna e tra loro distantissimi: verso il mare Ionio, e dunque Catania o altre città costiere, ma anche verso l’interno. Attualmente, si contano circa trecento coni e fenditure. Risale al 2007 la nascita del cratere di Sud- Est. Processi geologici continui. Serve altro, per cogliere nettamente che parliamo di un “corpo” vitalissimo di dio e di mostro?

Il gigante è “tappezzato” di più zone – strisce, fiumi, lingue di fuoco spentesi e consolidatesi – con copertura lavica. Cicatrici, si potrebbe dire. Ogni porzione di terreno con mantello di magma può associare una datazione, quella dell’eruzione. Non è escluso che le lave di più eventi si sovrappongano, a distanza di tantissimi anni. Si cammina per i sentieri dell’Etna e ogni tanto si sente dire: “quella laggiù è la lava del 1983”, “del 1951”, “del 1610”, “del 1892”, “1634-1636”, “del 1792”, “del 1780”, “del 1984”, “del 1842”, “del 1990”, “del 1865”, “del 1947”, “del 1911”, “del 1923”, “del 1669”, “del 2001”, “del 1981”, “del 1607”, “del 1595”, “del 2011” … E’ da almeno duemila e settecento anni che, pur con le diversità delle epoche, si può asserire l’avvenuta documentazione degli eventi etnei. Dal 693 a.C. sino al 1500, a quel che sappiamo – e stando a quanto riporta l’Enciclopedia Treccani –, l’Etna ebbe 16 eruzioni; oltre 40 dal 1500 al 1800, una ventina nel diciannovesimo secolo e una trentina nel ventesimo. La più disastrosa, fu quella del 1669, che diede origine ai Monti Rossi, presso Nicolosi, e investì Catania. Gravi danni arrecò pure l’eruzione del 1928, che seppellì del tutto Mascali. Nel 1950-51 si ebbe un’eruzione eccezionalmente lunga (372 giorni). Nel 1971, l’apertura di due distinti sistemi di bocche eruttive sul versante meridionale e su quello orientale dette luogo alla formazione dei Monti Ponte. Nel 1983, un’effusione lavica investì la zona del rifugio Sapienza e provocò ingenti danni.

Annate buone o cattive, a seconda della posizione e dunque dell’impatto sulla popolazione. L’Etna ha le sue annate, come un vino; e come un vino, non può essere bevuto privi di esperienza, rispetto, senso di quel che si pasteggia. Vino rosso, ovviamente.

cms_20585/4v.jpgOccorre essere prudenti, nel rendere omaggio al vulcano: nel 1979, un’improvvisa “pioggia” di massi colpì a morte nove turisti avvicinatisi fin troppo a un cratere apparentemente in sonno.

Tantissime volte, le eruzioni, specie quelle che hanno interessato le più basse quote, hanno determinato danni e vittime, cancellando abitati e colpendo la città più grande della zona, Catania.

L’altezza della “muntagna” è cangiante, poiché gli eventi eruttivi e gli agenti atmosferici contribuiscono alla modificazione dell’altezza di qualche metro, in più o in meno. Al momento, si aggira sui 3.326 metri, ed è il più alto vulcano attivo d’Europa, nonché uno dei più alti del mondo. Nel mondo, è soprattutto fra i più attivi.

Fuoco e acqua, neve e lapilli; roccia impenetrabile e campagne ubertose. Relitto dei primordi ed esistenza che germoglia. L’Etna è metafora della vita, ancor più che un vulcano. Magico e sacrale, capace – nell’immaginario e nella narrazione – di tenere in grembo, prima di donarlo, il regalo fatto ai catanesi, cioè “u liotru”, la statua di elefante che, di origine in verità sconosciuta – non certo riferibile all’emersione dalle viscere della terra e del Mongibello –, di Catania è divenuta simbolo.

Il tutto che si riferisce all’Etna determina la coesistenza di elementi e l’incisione su più ambiti della natura. Si pensi a come la lava, indicativa del fuoco, abbia creato e disfatto il lago di Nicito; a come il vulcano abbia snaturato il castello Ursino di Catania; a come nell’incontro tra la lava e la gelide acque del fiume Alcantara, si siano forgiate incantevoli (e visitabili) omonime Gole; a come l’Etna abbia giocato – giochi e giocherà – con i fiumi Amenano e Aci; a come la costa a Nord di Catania – che prende il nome di Costa dei Ciclopi ed è caratterizzata da località marine stupende nei comuni di Aci Castello (con il celebre castello su uno spuntone cms_20585/5v.jpglavico e con la celebrata frazione di Aci Trezza dei Malavoglia,famosa per gli stupendi Faraglioni dei Ciclopi e per l’Isola Lachea) e Acireale (frazioni di Santa Tecla, Stazzo, Pozzillo e Praiola) – sia costituita da scogliere laviche, piattaforme, spuntoni, faraglioni, pinnacoli, calette, insenature che paiono in ogni momento rievocare i passi lenti del fronte lavico, l’avvicinarsi alla originaria battigia, i densi vapori dati dal contatto tra il mare e il materiale fluido incandescente, il mutamento della linea costiera.

Evoca scenari tragici, magici e ciclopici, guardare, da una barca al largo, le scogliere generate dal vulcano che si staglia, sullo sfondo, con i suoi sbuffi di fumo e le lingue di fuoco o con la sommità innevata.

L’Etna è un gigante buono e perfido; è padre, madre, divinità di nobiltà e plebe, verga e benedizione.

Per Leonardo Sciascia,“sta come un immenso gatto di casa che quietamente ronfa e ogni tanto si sveglia, sbadiglia, con pigra lentezza si stiracchia e, d’una distratta zampata, copre ora una valle, ora un’altra, cancellando paesi, vigne e giardini. E appunto come i gatti di Eliot, ha tre nomi diversi: Etna, Mongibello, e il terzo segreto. Immenso.”.

Abbia o meno assimilabilità al felino domestico, l’Etna vive, si muove, respira. Per il mito, la sua attività, resa tangibile in ceneri ed eruzioni laviche, scandirebbe il “respiro” infuocato del gigante Encelado, vinto da Atena ed eternamente intrappolato in una prigione sotterranea sotto il Monte Etna. Il titano, rigirandosi incatenato, cagionerebbe i terremoti.

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Il federiciano Castello Ursino di Catania – quello che i meno giovani forse ricordano nel francobollo da quaranta lire – ha, nel suo stesso nome, probabilmente l’emblema di un territorio modellato dall’Etna. Secondo una accreditata tesi, la fortezza sarebbe così chiamata in derivazione di castrum sinus, vale a dire “castello del golfo”. L’edificio, avente compiti difensivi per l’Oriente della Sicilia al pari di similari concepiti dagli Svevi ad Augusta e Siracusa (Castello Maniace), fu posto, proprio come le strutture di tali altre città, in riva al mare, su un promontorio circondato dall’acqua salata. Oggi, al visitatore che si reca a osservarlo – e ad ammirare quel che c’è nel Museo civico ospitato tra le possenti mura –, il castello appare lontano dalla costa, su una collinetta. Cosa è accaduto? Semplicemente, l’Etna ha compiuto il proprio “lavoro”. In occasione dell’eruzione del 1669, la lava ha raggiunto Catania e ha “baciato” il castello. Esso fu risparmiato: il materiale incandescente lo ha praticamente circondato e ha determinato un grande avanzamento della battigia.

Quell’eruzione – la più importante del XVII secolo – ha avuto un ulteriore effetto: la scomparsa del lago di Nicito, riempito di lava. Un lago molto bello, in prossimità della città, profondo una quindicina di metri e con circonferenza di circa sei chilometri, che era stato persino sede di naumachie. Occorre evidenziare, però, che l’Etna distruttore era stato, secoli precedenti, generatore del medesimo specchio d’acqua dolce. Infatti, in occasione di un evento vulcanico di quasi duemila e duecento anni prima, la lava, sempre arrivando in quel di Catania, aveva ostruito il fiume Amenano (o Judicello), così da crearsi, in virtù di una diga naturale, il suddetto lago. Insomma, la lava esalta l’acqua e poi la sopprime.

C’è storia nella storia, Il fiume Amenano, in quello sconvolgimento, venne “coperto” dalla lava ma continuò a scorrere, secondo un percorso nascosto. Ovviamente, nell’avanzamento della costa dovuto al materiale lavico, scomparve il bel delta del rio. A Catania, vi sono punti suggestivi in cui, scendendo qualche gradino ed eludendo il sepolcro di roccia che cela il fluire al sole, si può rivedere il fiume, prima dell’esaltazione delle acque – della loro emersione in bellezza – con la fontana omonima, oggi nei pressi del magnifico Duomo, non distante dall’obelisco con l’elefante.

Quanto da narrare, tra crateri e mare! In località Stazzo, nel comune di Acireale, la lava ha costruito, una volta abbracciata dai flutti, una serie di nere scogliere, gradite dai tuffatori e dai bagnanti – agevolati da piattaforme in legno posizionate d’estate – nonché dai granchi, amanti dei luoghi incontaminati. Ebbene, tra le tante edificazioni laviche, spicca una sorta di cerchio che cinge uno specchio di mare entro cui sgorga l’acqua dolce. Le effusioni del vulcano, venendo giù, plasmano il territorio, deviano corsi fluviali, nascondono rii, allungano le coste, le mutano da sabbiose in rocciose, fan sì che l’acqua dolce emerga talvolta nel contesto dell’acqua marina, realizzandosi fusioni che testimoniano la ricchezza della natura e la generosità divina dell’Etna e di chi ha donato il Mongibello alla Sicilia.

cms_20585/7v.jpgÈ dal 2013 che l’Etna fa parte dei Patrimoni dell’Umanità. In Italia, ci sono altri quattro siti naturali riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità: le Dolomiti, le Isole Eolie, il Monte San Giorgio e le Antiche faggete primordiali dei Carpazi e di altre regioni d’Europa

Quanto incanto, tra neve e sole! Con una cima oltre i tremila metri, l’Etna conosce una neve che fa invidia alle alte quote alpine e, al contempo, raccoglie le piogge. Va da sé che, per pioggia o per scioglimento delle nevi, l’acqua discenda le pendici e giunga al mare, con una copiosità e una forza che solo un serbatoio capace e delle altezze notevoli sanno dare. Forse da ciò si è generato il fenomeno che ha portato al Chiancone di Praiola, frazione marina di Acireale. Il Chiancone è uno spettacolare alto bastione in prossimità della costa, formato da diversi strati di blocchi vulcanici e materiali piroclastici sovrapposti da accumuli lavici che, con molta probabilità, provengono dalla Valle del Bove e sono stati trasportati a valle dalle acque.

Ambienti suggestivi, lontano nel versante interno dell’Etna, possono essere ammirati presso la cittadina di Biancavilla, in contrada Sommacco e in contrada Montalto. Nella prima, si trova un canyon le cui pareti sono formate da elementi vulcanici che conferiscono, all’area, una prevalente colorazione bruno-rossastra. In contrada Montalto, si può godere della vista di una combinazione di colate e di lahar. Questi ultimi sono il prodotto della solidificazione di fango e materiale lavico; un insieme che, come il calcestruzzo, è fluido in movimento mentre si cristallizza celermente una volta fermatosi

Andrea Vaccaro e Camillo Beccalli

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