LA FELICITÀ EPICUREA E L’ANTICORRUZIONE

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cms_24177/1.jpgAppartiene al filosofo greco Epicuro (341-270 a.C.) la concezione a prevalenza materialistica del raggiungimento dell’equilibrio interiore per il mezzo di una forma di auto-controllo nei confronti delle cose che ci interessano e dei propri bisogni, proiettati all’apprezzamento del piacere in quanto tale, senza subire il peso della paura del proprio Dio e/o della morte: esattamente tutto il contrario di quella che è stata per decenni, forse da sempre, la nostra educazione.

È una filosofia della felicità, costruita sulle parole che devono medicare il male dell’anima, ma che devono favorire l’etica insieme alla bontà dei comportamenti come, ad esempio, dialogare nel vero laboratorio di pensiero e di crescita spirituale e fisica, il Giardino, il luogo di benessere cui partecipa no solo il piacere dell’amicizia, ma anche il calcolo dei piaceri, che passa per la condivisione a suggello del pieno godimento.

cms_24177/2v.jpgQuesta amicizia che nasce dall’utilità vicendevole, ne prendendo i benefici reali, al di là se ragioniamo positivamente di fiducia concreta nell’amicizia o del fatto che l’amicizia inneschi un meccanismo di sicurezza potendo contare sul suo valore intrinseco e potenziale; oggi, allora, questo diciamo parlando di rete, la rete di amicizie, da cui, magari, nasce il potere: il potere vero.

L’ipotesi di un pensiero epicureo applicato alla corruzione, proprio parlando di rete di amicizie, e visto che nell’arco della vita del filosofo si è verificato il primo caso di corruzione della storia, quello di Arpalo, possiamo considerare che, se non è stata solo l’amicizia a motivare chi ha tradito con il traditore, certamente lo è stato il piacere che ne sarebbe derivato in caso di ragionevole esito positivo di quel tradimento e delle azioni connesse: il piacere dei soldi, del potere, dell’inebriamento, del benessere, della collocazione nella storia.

Il calcolo dei piaceri appare molto controverso nella filosofia epicurea, tanto quanto appare oggi controverso il calcolo della corruzione che sempre volge al piacere; e quindi, facendo sintesi, possiamo dire che la felicità si raggiunge semplicemente imparando ad apprezzare quello che si ha, superando le brame che possono non avere limiti se lasciate sguinzagliate alle blandizie.

cms_24177/3v.jpgSe epicureicamente ogni rapporto, ogni relazione umana trae origine dall’utilità, possiamo solo prendere atto che la corruzione è all’interno di ognuno di noi, pronta a venire fuori a seconda delle contingenze, ed al di là del peso economico di queste; si tratta di corruzione del modo di essere, dei costumi, del pensiero, che quasi mai è reato, ma che altera percezioni e sentimenti, e: colpisce.

Dante, della corruzione dei costumi nel senso universale, ne ha parlato ampiamente, anzi, divinamente, gironando nell’inferno di una società, a suo esternare, corrotta da tutti i punti di vista: e che tale pare essere rimasta tuttora.

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Con la corruzione, che è sempre figlia dei suoi tempi, ma comunque di tutti i tempi, interagisce l’utilità, oggi proprio intesa in senso economico, sul cui contrasto si fonda il nostro sistema anticorruzione, del quale tanto ci inorgogliamo, e che altrettanto esibiamo, ma che poi, in concreto, siamo restii a rispettare effettivamente, proprio perché non fondato su basi motivazionali di natura etica, morale, deontologia, valoriale; si parla di valori, certo, ma di valori monetari, di soldi, di denaro, che sembra fare tanto ribrezzo al solo nominarlo, essendo, viceversa, l’anima dei rapporti e l’essenza della società, che è tale proprio perché ognuno di noi ha una valore economico in quanto ne è parte, e che fatica a fondarsi sul lavoro facendo sentire ossimorici i versi d’esordio della nostra Costituzione.

cms_24177/5v.jpgAbbiamo costruito il nostro sistema anticorruzione sulla spinta emotiva di accadimenti della estate del 2012, violentemente riportati, durante un Governo tecnico, e sulla scia di tutti gli interventi legislativi del 2010 finalizzati a fare economia razionalizzando la spesa pubblica abusata dai suoi stessi guardiani con leggi a modello e con interpretazioni propulse, stravolgendo la portata delle norme e prima la valenza dei principi a queste connessi.

Carissimo Epicuro; se non ci accontentiamo di quello che siamo e di quello che abbiamo, tentando di fare meglio, siamo ben lontani dal raggiungere la felicità, e quindi quell’equilibrio interiore che è presupposto individuale determinante di un’accettabile società moderna e che, a sua volta, è l’unico baluardo a difesa dei mala-comportamenti e della mala-amministrazione; un sistema di divieti e di sanzioni (quia prohibitum) non è in grado di dare crescita sociale per la quale, invece, occorre avvertire il disvalore di ogni comportamento scorretto (malum in se).

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Tutto il resto è un insieme di parole, sistematico, forse sistemato, ma vuoto di effettività, e che ben si colloca nel nostro modo di essere barocchi e, qualche volta, anche tarocchi: ma non nel senso del gioco di presa, o dell’esoterico e/o dell’arcano, bensì proprio in quello della giunteria.

Giuseppe Salvatore Alemanno

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