LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO DEL PITTORE PIERO DELLA FRANCESCA

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Vi presento la tavola con la «Flagellazione di Cristo», una delle opere più emblematiche di Piero della Francesca e che più di ogni altra può servire alla comprensione della difficile arte del coltissimo e raffinato pittore. L’opera realizzata tra il 1455 e il 1460 si trova alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino.

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Una caratteristica peculiare dell’arte di Piero della Francesca è la forte capacità astraente che dal particolare, pure indagato in maniera minuziosa, si solleva alla forma universale producendo immagini assolute, incorruttibili, eterne. Per l’artista, la pittura rivela l’universo: parte dal dato naturale ma ne elimina gli aspetti mutevoli per giungere alla vera essenza delle cose, ovvero le loro qualità geometriche. Per Piero, infatti, la geometria rappresenta la perfezione del creato e a questo si aggiunge il metodo prospettico che rende con esattezza i rapporti tra le cose; infine, la luce abbagliante, attenuando le ombre e schiarendo i colori, diviene emanazione di Dio.

La «Flagellazione», capolavoro su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro, rappresenta ancora oggi un vero enigma: l’unico dato certo che possediamo è la firma in latino apposta dal pittore sul gradino del podio dove siede Pilato: «opera di Pietro di San Seplocro».

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La scena è divisa in due parti da un perfetto impianto prospettico: dentro un’architettura classica si svolge la scena della flagellazione di Gesù, ma manca l’azione perché ogni gesto è immobilizzato in una dimensione atemporale, in un’immobilità concettuale ottenuta grazie alla rigorosa composizione geometrica dello spazio. In questo modo, ogni oggetto e ogni figura sono ridotti alla loro pura forma ideale.

Il luogo del supplizio dovrebbe essere, stando al Vangelo, il Pretorio di Pilato. Piero però, adornandolo di luminose colonne in marmo bianco con capitelli corinzi – con la sola eccezione della colonna della flagellazione, che ha un capitello ionico –, rimanda chiaramente alle architetture di Leon Battista Alberti.

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La scala sullo sfondo è, per alcuni studiosi, un’allusione alla Scala Santa venerata a Roma nel Palazzo Lateranense e conosciuta come Scala di Pilato. Questi elementi fanno chiaramente intendere la volontà dell’artista e dell’ignoto committente di rileggere l’episodio alla luce della storia contemporanea: lo stesso Pilato non veste i panni di un amministratore romano, né siede su un trono ma su un faldistorio, veste i panni di un sovrano orientale e abbandona le mani in grembo in modo sconsolato. Una tra le tante ipotesi sembra collocare l’opera tra il 1460 e il 1470 e riconosce in Pilato Giovanni VIII Paleologo che, impotente, vide la Chiesa d’oriente soccombere sotto l’invasione dei turchi nel 1453.

cms_30020/3_1680829619.jpgLa «Flagellazione» è in secondo piano rispetto alla piazza del lato destro, occupata da tre persone immobili e splendidamente abbigliate. Una delle tante tradizioni identifica il giovane ritratto frontalmente con piedi nudi e capelli biondi e ricci con Oddantonio da Montefeltro, fratellastro di Federico, ucciso in una congiura nel 1444; i due personaggi ai lati sarebbero invece i suoi consiglieri responsabili dell’uccisione. La veste rossa alluderebbe così al suo sacrificio e sarebbe in collegamento con le sofferenze patite ingiustamente dal Cristo nella Flagellazione.

Il personaggio di sinistra, vestito chiaramente all’orientale, porta lo stesso copricapo di un’analoga figura dipinta da Piero in un episodio della Legenda di Santa Croce di Arezzo, ed è qui colto nell’atto di parlare: oggetto della conversazione sembra essere il mistero raffigurato alle sue spalle, dal momento che la posizione della sua mano rimanda al gesto del turco che guarda la flagellazione e che secondo alcuni potrebbe essere lo stesso re Erode, figurante, anche se in maniera marginale, nella passione di Gesù.

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L’altro personaggio è un uomo potente: la sua altissima carica è testimoniata dalla fascia rossa che tiene sulla spalla destra e che scende fino ai piedi e dal prezioso broccato che indossa. L’uomo è in attento ascolto del suo interlocutore pur mantenendo, come consono a un uomo di potere, un certo distacco. Alcuni mettono in relazione la scena della flagellazione con la sofferenza della Chiesa cristiana a causa delle vessazioni mussulmane.

Inutile sottolineare il profondo insegnamento e l’attualità di quest’opera: anzitutto, offre un invito a rileggere la storia tormentata del nostro tempo alla luce della passione di Cristo. Contemplare i misteri della passione del Signore, tra cui appunto la flagellazione, non è mero esercizio di pietà ma è penetrazione del senso ultimo della storia e delle sofferenze del mondo.

Nell’opera, la luce inonda la scena e sembra, a giudicare dalla parte centrale del soffitto fortemente illuminato del Pretorio, provenire dalla statua del Sol Invictus posta in cima alla colonna del supplizio, chiaro riferimento alla Risurrezione: è la luce della speranza che viene dalla vittoria di Cristo sul dolore e sulle tragedie umane, più intensa e più forte della luce solare che risplende nella scena di destra. Solo a partire da questa luce può essere interpretata la storia.

Alessio Fucile

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