LA MIA BARI

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Per lungo tempo non ho apprezzato Bari, la mia città. Devo, però, ad onor del vero subito aggiungere che è pure un dato di fatto che non la frequentavo molto, anzi, affatto. Per "non la frequentavo molto, anzi, affatto" intendo che non giravo nel gomitolo delle sue strade, che non ne conoscevo gli angoli più reconditi, le visuali più caratteristiche, gli scorci più suggestivi, le prospettive che la fanno semplicemente bella.

Insomma, la mia città non la respiravo!

Non respiravo i posti maleolenti così come non respiravo le vie eleganti. La mia città mi aveva dato i natali, punto; il resto erano architetture asettiche ed abitanti invisibili alla mia indifferenza. La vivevo per inerzia. Rinchiuso nella turris eburnea della mia casa, ero distante dal suo vociare popolare, dalla sua mentalità mercantile, dalla sua poca cultura.

Ero lontano dal silenzio che l’avvolge al mattino, dalla luce che l’ammanta radente al crepuscolo; lontano dallo strillare dei gabbiani che volano in cerchio sul mare, forse felici o forse tristi, ma di sicuro liberi; lontano dalle lampare dei pescatori fermi per ore la notte più o meno distanti dalla riva; lontano dai mercati bazzicati da un’umanità anonima.

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Ero lontano perché immerso completamente in me stesso per appuntare ciò che trovavo in profondità, ciò che estraevo dal magma solidificato che era il mio vissuto... e non sempre quel lavoro da minatore portava in superficie oro o diamanti! Io non avevo tempo per la mia città.

Isolato nel mio ovattato dolore, esiliato dal timore del mondo esterno, appartato dalla necessità di economizzare le poche risorse muscolari, spendevo ogni sentire nella lettura sofferta e nella scrittura feroce dove cercavo un riscatto a tutta una serie di errori, nonché un intenso piacere da contrapporre alle fatalità tragiche capitatemi. Io vivevo la mia città per inerzia.

Detestavo la mia città perché mi aveva dato i natali. "Se essa non esistesse -pensavo stupidamente-, io non sarei qui"; non mi accorgevo, nella giovanile impulsività, che proprio questo la legava a me a doppio filo! Tagliata fuori da ogni rotta culturale, languiva ai margini del mondo sperando in un aiuto foraneo che soltanto poche volte nella Storia le era giunto; ed ero lì a chiedermi ossessivamente perché Murat l’avesse presa così sul serio sino al punto da volerla ingrandire imprimendole quel volto razionale e moderno che così tanto impressiona il turista di passaggio!

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Poi, un amore grande quanto il cielo della mia città; un amore grande quanto il mare della mia città; un amore caldo come il sole della mia città e duro a morire come le pietre della mia città, mi prese per mano e mi condusse là fuori, ad amare lei e quell’ambiente che avevo sempre negletto e temuto! Fu grazie a quello splendore rilucente che curai la tristezza, la noia e l’insoddisfazione che mi attanagliavano da sempre.

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Rigenerai la mia vita, la mia visione delle cose; nacqui ancora una volta, nacqui una seconda volta, pronto a nuovi giorni da affrontare in modo nuovo.

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Nelle strade della mia città io, così restio ad esternare i miei sentimenti; io, così riservato da controllare in maniera ferrea i miei movimenti per non risultare goffo distruggendo quella dignità faticosamente raggiunta a forza di sottrazioni; io, così allergico ad ogni forma di danza perché percepita in contrapposizione all’infelicità che concerneva l’Uomo, avrei ballato stretto a quella donna un tango appassionato sotto gli occhi dei passanti, ormai tutti inoffensivi!

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Oggi, amo la mia città. Probabilmente perché ombra di quel ricordo di fuoco e carne; probabilmente perché ho scoperto la sua anima genuina o probabilmente perché ho scoperto la mia non tanto fosca quanto la credevo; probabilmente perché non ha grandi fasti alle spalle, proprio come me... e certamente nemmeno grandi fasti futuri! Oggi, amo la mia città.

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Oggi, ballo con essa quel tango che mancò e che ogni giorno, adesso, ballo con chi mi viene incontro quotidianamente con i suoi odori di libertà simile a quella dei suoi gabbiani.

Giovanni Amoruso

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