LA NUOVA FRONTIERA NELLA CURA DEL TUMORE AL PANCREAS

Michele Milella: «Già solo con il miglioramento delle chemioterapie abbiamo fatto un salto di qualità»

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Gli studiosi sono impegnati da oltre 40anni nel trovare delle soluzioni efficaci per la cura di questa terribile neoplasia. Nel 2030 il tasso di mortalità avrà superato quello alla mammella e al polmone. La sua tipologia ha diverse variabili genetiche da rendere difficoltose le cure. È asintomatico e ci si accorge di averlo solo in stadi avanzati.

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Nuovi scenari terapeutici e multidisciplinarità, cure personalizzate ed umanizzate, questi sono alcuni dei temi trattati durante l’intervista al Prof. Michele Milella, ordinario dell’Università di Verona e direttore del Dipartimento di Oncologia medica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, impegnato dal 19 al 21 settembre con la XLIII edizione del Congresso Nazionale dell’AISP (Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas).

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Professore, le statistiche non sono confortanti: nel 2030 quello del pancreas sarà il tumore con il più alto tasso di mortalità, rispetto a quello della mammella e del polmone: conferma questa proiezione?

«Si! La proiezione è fatta su dati statistici di epidemiologi americani. Può darsi che in Europa sia leggermente differente, ma si prevede da qui ai prossimi dieci anni un netto incremento della mortalità».

Il tumore al pancreas è così variabile da avere caratteristiche genetiche diverse: cosa significa?

cms_14229/0.jpg«Quando noi curiamo un tumore del pancreas in un singolo paziente, non stiamo curando la stessa malattia di altri pazienti; nel momento in cui osserviamo un paziente per la prima volta, non sappiamo quel tumore come si comporterà. All’inizio di una storia clinica, in quale parte dello spettro che va dai tumori più tranquilli - che non sono la maggioranza ma esistono - a quelli più aggressivi, non sappiamo dove collocare il paziente che abbiamo davanti, e quindi usiamo delle strategie comuni per tutti. Questa differenza nel decorso e nell’aggressività biologica della malattia è dettata da alterazioni genetiche diverse che oggi, finalmente, iniziano a poter essere documentate individualmente, ma non ancora applicate».

Quanto tempo ci vorrà per passare dalla teoria alla pratica?

«Prevedo che entro il prossimo decennio saremo in grado di avere una caratterizzazione biologica più raffinata dei tumori del pancreas, consentendoci di adottare delle terapie di tipo sartoriale, cioè più individualizzate e tagliate per ogni singolo paziente».

Sartoriale?

«Una terapia tagliata sul paziente che non si limita solo solo alla scelta dei farmaci, ma, anche, se praticare o meno la chirurgia o la radioterapia, tenere la malattia sotto controllo loco-regionale o favorire un trattamento sistemico».

Qual è il livello di incidenza della familiarità nei tumori pancreatici?

«È stimata intorno al 10%, così come per le altre neoplasie. I dati più recenti che stanno emergendo a cui stiamo contribuendo anche noi del Centro di Verona, però, rivelano che esiste una forma di predisposizione genetica se la conosciamo o famigliare in senso lato - se non conosciamo esattamente il gene coinvolto - in una percentuale di casi maggiore di quella che noi apprezziamo oggi, l’evidenza che sta emergendo è che più la cerchiamo e più arriviamo a percentuali vicine al 20%».

Si fa un gran parlare di medicina di precisione e test genomici per la cura del pancreas: cosa significa e qual è la sua opinione a riguardo?

«La medicina di precisione è un po’ un estensione di quel concetto della terapia personalizzata di tipo sartoriale di cui ho detto prima; mentre, quello che oggi stiamo iniziando a fare anche nei tumori del pancreas, è di avere elementi basati sulle alterazioni del genoma della cellula tumorale, ma anche del paziente stesso, che ci consentano di prevedere l’andamento della malattia e di scegliere delle terapie più appropriate».

L’applicabilità nel campo di tumori del pancreas, rispetto ad altre neoplasie, è ancora allo stato embrionale?

«Se per i tumori al polmone e del colon questa è già una realtà che si fa entro certi limiti, per il pancreas non siamo ancora a quel punto e sono in corso in tutto il mondo numerosi studi - compresi quelli avviati qui a Verona nell’ambito del Consorzio internazionale del genoma umano – che puntano a caratterizzare le alterazioni del tumore del pancreas del singolo paziente e avere accesso a farmaci oggi non ancora utilizzabili».

Che prospettive ci sono?

«Una piccola finestra si è aperta proprio quest’anno con uno studio che ha documentato che dei farmaci vanno a colpire selettivamente le mutazioni trasmesse in maniera ereditaria come quelle alla mammella o all’ovaio, conosciute come BRCA o mutazione Angelina Jolie – e che esiste per il 4/5% anche nei tumori del pancreas -, riscontrando efficacia, ma in una certa misura, anche nei tumori del pancreas. Questa oggi è un’arma in più! Siamo lontani da una vera medicina personalizzata, ma ci siamo incamminati sulla giusta strada».

È possibile umanizzare le cure?

«Il focus, prima, era tutto sul tumore. Il cambiamento generale del paradigma dell’oncologia, è stato passare da un concetto di combattere la malattia a, invece, prendersi cura dalla persona. Questo perché, oltre a essere un concetto umanitario, ha dei risvolti importanti su come la persona reagisce alla malattia e alle cure».

Quale approccio deve avere il medico nei confronti del paziente?

«Il primo atto terapeutico è quello di stabilire una relazione di fiducia tra medico e paziente; senza quello posso essere il tecnico più motivato del mondo, il paziente quello più motivato del mondo, ma se non riusciamo a stabilire quella relazione umana tra medico e paziente, difficilmente andremmo da qualche parte».

Cos’è il FORCE?

«Sta per Focus on Research and Care ed è un team nato qui a Verona composto da nutrizionista, psicologo e kinesiologo, con l’idea che una presa in carico globale del paziente lo metterà nella condizione migliore di affrontare meglio il percorso terapeutico, perché la nostra ipotesi è che tutto questo influenzi l’efficacia del sistema immunitario nell’aiutare l’organismo nel combattere la malattia».

Può farmi un esempio?

«Un gruppo di ricerca a cui partecipano le nostre psicologhe, nutrizioniste, kinesiologhe e psicologhe, ha prodotto dati che dimostrano che, per i tumori al pancreas, il mantenimento di un buono stato nutrizionale riduce la tossicità della chemioterapia e migliora la sopravvivenza dei pazienti con un impatto paragonabile quantitativamente all’introduzione di un nuovo farmaco».

In un nostro precedente incontro, mi ha parlato di multidisciplinarità: quant’è importante, per un medico e per il paziente, il lavoro in team e la collaborazione tra reparti diversi?

«Poiché il focus si è spostato dalla malattia al malato, l’intervento coordinato di specialisti diversi è fondamentale per sviluppare i piani di cura per il paziente e per mandare avanti la ricerca».

Secondo alcune indagini, in termini di investimenti in Scuola, Sanità e Ricerca, l’Italia è agli ultimi posti rispetto ai paesi Ocse e del G7. Insomma professore, è come togliere il latte materno a un neonato: secondo Lei, perché questa tendenza negativa nell’investire sempre meno sul benessere e futuro del paese?

«Uno dei problemi che abbiamo in Italia è che siamo bravissimi a darci la zappa sui piedi non vedendo quello che abbiamo di buono, anche se poco».

Forse, è più di poco?

«Fermo restando che è verissimo che gli investimenti in innovazione, educazione e sanità sono a livello di quelli della Grecia, è vero anche che per tutta una serie di motivi la ricerca italiana è ai primi posti in Europa, nonostante gli investimenti non siano adeguati».

Quindi, per Lei, non c’è alcun problema?

«Il problema, alla fine, è solo di carattere culturale. Finché questi investimenti non vengono vissuti dalla popolazione, più che dai politici, come un valore aggiunto sul quale vale la pena mettere soldi, difficilmente riusciremo a superare questo impasse».

La Politica, pertanto, non centra niente?

«Quella spesa che metti su capitoli come innovazione, educazione e sanità, è in realtà un investimento che genera un ritorno di ricchezza. Se la popolazione non arriva a capire questo, difficilmente riuscirà a trasmetterlo ai politici».

L’attuale neo ministro del MIUR, promette di trovare entro Natale 1 miliardo da donare alle Università: il solito slogan o qualcosa sta cambiando?

«Credo poco agli slogan politici, questo convincimento deve radicarsi nelle persone. Quando sento le persone dire ‘non capisco perché devo pagare le tasse per supportare il sistema sanitario nazionale’, questa è la misura di quanto poco la gente apprezzi che quei soldi che metti in quel capitolo di spesa possono rappresentare un investimento per il paese. Non crederò alle promesse dei politici se non vedo cambiare la cultura intorno a me».

Quindi, la lotta all’evasione fiscale potrebbe aiutare a trovare denaro da investire, soprattutto in sanità?

«Assolutamente si!»

Domani avranno inizio gli stati generali dell’AISP (Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas) con la XLIII edizione del Congresso Nazionale: cosa accadrà in questi giorni?

«Intanto va detto che è il congresso della pancreatologia, non c’è solo in cancro: abbiamo una mezza giornata interamente dedicata all’aspetto oncologico e il resto dedicato alla fase diagnostica e al trattamento di altri disturbi pancreatici non di tipo neoplastico».

Professore, sono quasi 50 anni che si discute di Pancreas: ci fa un punto della situazione?

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«Sono stati fatti dei progressi sia nel campo oncologico sia in quello delle patologie infiammatorie. Le due cose sono molto legate tra di loro, perché le patologie infiammatorie del pancreas fanno da terreno di predisposizione per un tumore. Ricordo quando studiavo, pazienti con la pancreatite venivano messi a digiuno per lunghi periodi di tempo, adesso si fanno mangiare dopo due giorni. È uno scenario in grande evoluzione, e questo connubio di oncologia e studio di altre malattie pancreatiche, nel giro di pochi anni, ci farà fare un enorme salto di qualità spostando il focus da una piccola quota di pazienti con un tumore in fase avanzate verso forme di prevenzione personalizzate».

Il congresso si aprirà per la prima volta con un pre-corso sulla formazione del giovane pancreatologo: perché?

«Questo è un altro aspetto importante di questo congresso: l’AISP si è fatta portatrice di una scuola di pancreatologia rivolta ai giovani gastroenterologi che spesso negli ospedali fanno la gastroenterologia in genere non occupandosi specificamente di pancreas. Pertanto, prima dell’inizio del congresso ci sarà un corso educazionale per i giovani pancreatologi per cercare di creare delle figure specialistiche da distribuire su tutto il territorio nazionale e non solo nei centri di eccellenza».

Sono stati fatti dei passi avanti nella cura di questa neoplasia?

«Già solo con il miglioramento delle chemioterapie abbiamo fatto un salto di qualità che non è tanto percepito a livello di pubblico, perché i risultati sono ben lontani dall’essere ottimali; ma rispetto ai pazienti che vedevo e a quello che potevo offrire 15 anni fa oggi lo scenario è completamente diverso pur avendo a disposizione solo qualche regime chemioterapico diverso».

Esistono nuovi scenari terapeutici?

«Quest’anno la grande novità del congresso è la studiosa israeliana TaLia Golan, che ha guidato un team internazionale nel documentare l’efficacia di alcuni farmaci specifici per chi ha la mutazione BRCA. E questo ci fa entrare come oncologia pancreatica, finalmente, nell’era della medicina molecolare personalizzata».

Una nuova frontiera?

«Si tratta di una nuova frontiera nella ricerca, e come accaduto in altre patologie la percezione è che ci sarà un effetto domino: una volta che si è riuscito a documentare una cosa, a cascata nel giro di poco tempo arriveranno tanti altri risultati».

Umberto De Giosa

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