LA PITTURA PRIMA DELLA STORIA

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Preistoria, in pittura, corrisponde al paleolitico e con maggior precisione a circa 32.000 anni fa.

Una distanza temporale che il nostro cervello percepisce a fatica. Lo accetta come dato, ma non si riesce a concepire bene un tempo così lungo.

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L’uomo vive ancora nelle caverne, ha una vita media di 30 anni, vive di caccia raccogliendo erbe selvatiche.

cms_20693/00.jpgÈ capace di costruirsi delle “amigdale”, ovvero delle pietre scheggiate e grossolanamente modellate per farsi un’ascia, incidere e lavorare le pelli animali con le quali si copre.

Un primo elemento su cui riflettere: consideriamo i graffiti sulle pareti delle caverne i primi segni di “pittura”.

Ebbene, questi compaiono contemporaneamente in tutto il mondo dalla Cina alle Americhe e lo stile è pressoché uguale.

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L’intenzione e la pratica di creare dei segni grafici nascono identiche in tutti gli esseri umani del mondo. Fu la considerazione di Picasso e Klee (per citare due tra i pittori più famosi) poter studiare dei segni grafici precedenti a qualsiasi cultura e, per questo, non influenzati da nessuna accademia, obbligo o dogma creato dalla civiltà complessa.

Un segno puro. L’uomo, il colore e il segno.

Sia Klee che Picasso utilizzarono molto lo “stile” preistorico nei loro quadri.

Una seconda riflessione ci racconta che l’immagine, il disegno compare 30.000 anni prima della scrittura. Non solo. La scrittura nasce già differenziata nelle varie zone della terra. Ideogrammi, geroglifici, caratteri cuneiformi ecc. fin dall’origine; manca una sostanziale unità.

Torniamo alla pittura.

Perché gli uomini hanno sentito il bisogno di dipingere?

La funzione delle pitture rupestri è al tempo stesso creativa e magica, ma non nel senso religioso del termine “magico”. L’uomo preistorico non credeva in nessun dio o religione, ma era pratico.

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Dipingendo un bisonte si impossessava del bisonte. Lo spazio-tempo tra il disegno e l’effettiva cattura per lui non esiste.

È come se noi oggi mettessimo trappole per topi, né più né meno.

Un aneddoto può aiutare a chiarire il concetto. Un atteggiamento simile lo si ritrova nell’arte dei nativi americani. Un nativo, osservando che un ricercatore “bianco” disegnava dei bisonti, riferì che da quel momento i bisonti erano diminuiti.

Più bisonti si disegnavano meno bisonti in circolazione, perché quelli disegnati erano “presi”. Così come più tardi per un nativo essere fotografato equivaleva a perdere anima e identità: non restava nulla di lui.

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Questa era la “naturalezza” della pittura preistorica, che nulla ha a che fare con le pitture delle tribù o con quelle dei bambini.

I bambini dipingono ciò che sanno, non quello che vedono. Il preistorico dipinge ciò che vede. E con quale precisione e maestria! Già adopera il chiaroscuro e linee di diverso spessore per ottenere le profondità e la distanza tra le cose.

I disegni dei bambini, invece, partono dal pensiero e non dalla natura, e infatti stilizzano e geometrizzano le figure.

Nessun intento decorativo o estetico, di “gioia per gli occhi”, ma creazione di un incantesimo.

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Chiaro indizio è la posizione in cui il “pittore” (chiamiamolo così) realizzava i suoi disegni: negli angoli più nascosti o meno visibili. Fosse decorativa sarebbe il contrario.

Inoltre, le figure sono aggiunte e si sommano alle altre, invece di utilizzare altro spazio che c’era in abbondanza.

Le figure degli animali, infine, sono trafitte, come una “caccia in effigie”, non solo da frecce o lance disegnate, ma anche da colpi reali, inferti sulla roccia e sopra i disegni, da armi reali.

Per questo è necessario che l’immagine sia mimetica e naturalistica, quasi impressionistica e non idealizzata. L’immagine, in incantesimo, sostituisce il reale nella magia dell’atto creativo.

Sono passati migliaia di anni, fino ad arrivare all’arte moderna con l’impressionismo e i successivi stili figurativi, ma concetti e pratiche dell’arte erano già lì, tra le mani e nel pensiero degli uomini preistorici.

Andrea Giuseppe Fadini

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