LA RESURREZIONE DI LAZZARO

Arte e spiritualità

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Vi presento la «Resurrezione di Lazzaro» di Vincent Van Gogh, opera del 1890 oggi conservata nel Van Gogh Museum di Amsterdam.

L’artista olandese realizza quest’opera nello stesso anno in cui lascia la clinica psichiatrica di St. Remy, in Provenza, dove era ricoverato da diverso tempo: sono questi momenti difficilissimi, in cui Vincent è più volte tentato dall’idea del suicidio, che tragicamente riuscirà a compiere a fine luglio di quello stesso anno. Ma prima di quel gesto trova ancora posto questo quadro, la «Risurrezione di Lazzaro».

Il primo elemento che salta all’occhio è una insolita assenza: manca il protagonista, Gesù di Nazareth, autore del prodigio. Infatti, Van Gogh sceglie di sostituirlo con un’atmosfera densa di luce che inonda l’intera scena; in effetti, lo stesso Cristo si era paragonato alla luce: «io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita». Il dipinto è intriso di giallo, colore della vita e dunque anche di quella vita che il pittore anela a vivere benché la sua pienezza gli sembri essere preclusa. Un sole luminoso penetra non solo nel sepolcro ma anche nelle vesti e nella carne stessa di Lazzaro: il volto di quest’ultimo non è altro che quello del pittore stesso, in quanto è come se Van Gogh volesse identificarsi con Lazzaro e così affermare tutta la sua speranza di guarigione e di vita lanciando un grido capace di resistere nel tempo e di andare oltre il tragico gesto dal quale sarà sopraffatto.

Ecco la grande intuizione artistica del pittore, che con il suo tormentato pennello invita ciascuno di noi ad identificarsi con Lazzaro: così, davanti a questa opera possiamo lasciare affiorare le grandi domande e i dubbi più profondi, non dissimili da quelli avanzati da Marta, che dice a Gesù: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». Dove sei, Signore, nell’ora della morte? Dove sei quando la paura mi assale e non mi lascia tregua? Se sei mio amico, perché non sento la tua presenza nel momento del bisogno? In realtà, Gesù vuole guidarci ad un rinnovato e autentico incontro con lui, proprio sul fertile terreno delle fatiche e delle ferite.

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La prima risposta di Gesù – e la sua prima vittoria sulla morte – sta nel suo pianto: se inizialmente e con un po’ di pudore l’evangelista dice che Gesù «si commosse profondamente», poi supera l’imbarazzo e dichiara senza esitazione che «Gesù scoppiò in pianto». Un Dio che piange e che ben conosce il patire, non tutti lo comprendono; qualcuno sbotta: «lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». A volte vorremmo un Dio così, malleabile ai nostri progetti e alla nostra volontà, pronto a rimuovere tutti gli ostacoli: ma quali sono i nostri progetti? Papa Francesco li ha ben ricordati nella memorabile preghiera che ha pronunciato in solitaria in Piazza San Pietro durante la pandemia: «Avidi di guadagno, ci siamo ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Con la tempesta è caduto il trucco che nascondeva il nostro ego». Forse Gesù preferisce le lacrime alla propria potenza affinché si sciolga il trucco che ci maschera e affinché possiamo essere finalmente restituiti alla verità, sua e nostra: «io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?», chiede a Marta, sorella di Lazzaro.

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E poi quel comando rivolto all’amico: «Lazzaro, vieni fuori». Sono parole che Gesù dirà ad ogni suo amico, ad ogni suo fratello nell’ora della morte. Ma prima ancora di quel momento invita a non abitare i sepolcri prima del tempo, dominati dalle due guardiane della morte: la paura e l’indifferenza. La paura rende inquieti, sospettosi, e chiusi in sé stesso; l’indifferenza invece rende assenti e incapaci di essere in sintonia con il mondo.

In ogni caso, la vittoria sulla morte ha bisogno anche dell’aiuto del prossimo: «non ci si salva da soli», come dice Papa Francesco; e nel vangelo Gesù, prima ancora di ordinare a Lazzaro di uscire, dice a chi gli è attorno: «togliete la pietra», e poi: «Slegatelo e lasciatelo andare». Quali sono i fratelli che hanno bisogno del tuo aiuto per risorgere? Forse quelli ai quali rifiuti il perdono, uno sguardo compassionevole, quelli che incateni con i tuoi giudizi. Slega il fratello dalle tue funi e dai tuoi pregiudizi: la vittoria sulla morte ha bisogno di un esercito appassionato della vita.

Alessio Fucile

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