LA RICERCA DEL NIRVANA

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Ogni uomo ha nel cuore un progetto di felicità e desidera vivere in un paradiso come quelli dipinti dalla mano di Gauguin, e guardare gli acquarelli di un paesaggio tropicale, amato da una donna bella, buona e fedele, e possibilmente sempre giovane. Ma questa ricerca lo rende infelice; sicché l’uomo vive gli eventi restando in attesa, mentre dondola nell’altalenare sistematico tra noia e dolore.

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La capacità di vivere l’attesa parte dal presupposto non facile di portare dentro l’altro, come una costola. La stessa che Dio tolse ad Adamo quando vedendolo solo e infelice, decide di affidargli una compagna, che avrebbe dovuto sostenerlo e garantire la continuità della specie. Sebbene Eva deluda le aspettative del divino, con la sua curiosità, mangiando il frutto proibito.

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Napi, l’aiutante del sole, protagonista di un’antica leggenda indiana, ha in comune con il nostro dio, l’aver creato l’uomo con animo scontento. Si racconta che Napi, avendo trovato un grosso pezzo di argilla, realizza un soggetto a forma di animale; successivamente crea le figurine di tutti gli animali della terra. Appena ne completa una, vi soffia sopra e attribuisce un nome ed una destinazione, popolando il mondo. Con l’ultimo pezzetto di argilla realizza l’essere umano, che manda a vivere con i lupi. Tutti gli animali sono soddisfatti, tranne l’uomo, che ancora adesso vaga alla ricerca di un luogo che lo soddisfi pienamente.

Non a caso Napi e Dio usano l’argilla come metafora della vita. I due sono entrambi artisti che modellano la forma, così come l’uomo modella la propria esistenza, in base alle azioni del vissuto. Entro un certo limite è possibile modellare l’argilla fino a quando non si solidifica. Solitamente tramite le azioni di questa vita si modella quella futura, e la vita presente viene plasmata in base a quella passata. In qualunque momento possiamo modificare la nostra strada, il percorso fatto di argilla si solidifica velocemente e possiamo cambiare le azioni nel breve termine, obbligati comunque a procedere fino in fondo alla via, per poter rinascere in altra vita, come ci insegnano le dottrine orientali, o morire in attesa della vita eterna, come il cristianesimo professa.

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L’antico testo cinese, il Daodejing, è stato scritto da un maestro taoista, Lao-zi (il vecchio bambino) nel quarto secolo a.C. i cui principi esposti sono del tutto simili al concetto di creazione dell’universo di origine induista e cristiano. In questo testo sacro non viene riconosciuta la figura di un dio creatore, in quanto padre. Dao secondo il taoismo, non è un essere divino, ma un principio assoluto e impersonale. Poiché Dao è padre e madre insieme e rappresenta il principio di tutte le cose. Significa la via, il percorso, il viaggio.

La storia ci insegna che gli uomini partono, scegliendo percorsi alternativi, inseguendo nuovi traguardi, alla ricerca di sé. Come non pensare ad Ulisse, l’ingegnoso eroe del ritorno, spintosi oltre le Colonne d’Ercole superando il limite del mondo? Leggendario re di Itaca, sposo non sempre fedele della bella Penelope, che impiega vent’anni prima di ritornare a casa.

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In oriente, tra i più mistici, è il viaggio di Gautama Siddharta. Il principe, benché viva nelle agiatezze del suo palazzo, rinuncia al benessere e lascia per iniziare il sannyas, la moglie e il figlio senza neanche salutarli. Tornato a casa, al termine del suo viaggio, Gautama incontra sua moglie che mostra disappunto nel rivederlo, perché abbandonata senza alcuna spiegazione. Un atteggiamento che non ci saremmo mai aspettati dal buddha. Gautama in effetti ha la scusante che sia diventato illuminato dopo la partenza. La moglie di Gautama, che secondo noi è una santa, dopo le urla iniziali e superato il trauma dell’abbandono, continua ad amare il suo uomo, ed è felice di trovarlo realizzato pienamente. Infatti egli è il Buddha.

Sappiamo bene che gli uomini amino il viaggio, ed anche quando hanno il paradiso, siano sempre alla ricerca di un valore aggiunto, che neanche il nirvana riesce a dare.

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Ma ci viene il dubbio che sia la convivenza ad esasperare gli uomini. E se fosse colpa invece del Karma, o del destino? Secondo le dottrine orientali che credono nella rinascita e nel karma, il motivo per cui esiste una relazione tra causa ed effetto, non si trova nella mente dell’uomo. Infatti, non bisogna cercare la causa in modo volontario, in quanto essa è nelle azioni di un vissuto pregresso, in vite precedenti.

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Anche il destino, come il Karma, è una forza invisibile che spinge l’uomo ad agire. Secondo alcuni pensatori, ogni cosa agisce ed esiste, per una ragione superiore. Secondo gli stoici, gli eventi sono inevitabili, e il destino è un mistero che si può sentire o meno, ma sembra che noi umani pur essendo artefici del nostro destino, come asseriva il vecchio Tolomeo, non abbiamo il potere di controllare la nostra vita. La vita è un lungo viaggio alla ricerca di sé, che non conduce al paradiso. Meta ambita dalla moltitudine terrena, negata alla quotidianità del nostro umano sentire.

Susy Tolomeo

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