LA SICILIA NEL PALLONE – (II^)
Francesco Calì, Pietro Anastasi, Salvatore Schillaci, Franco Scoglio, Angelo Massimino
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Dedicato a Giampiero Boniperti,
che accolse nella Juventus
l’energia tutta sicula di Anastasi e Schillaci
L’Angileddu
Angelo Massimino, Angileddu, fu il muratore che si fece imprenditore e che poi, per oltre venti anni, resse il Catania Calcio, come popolarissimo presidente del club. Dal 2002, lo Stadio Cibali – “Clamoroso al Cibali! Catania - Inter 2 a 0!”, anno 1961– è a lui intitolato. “Presidente, al Catania manca l’amalgama!”- “Ditemi dove gioca e io lo compro”. Leggenda o realtà, questo botta-e-risposta nell’equivoco?
Sarebbero stati di più, gli anni di presidenza, se un incidente stradale, il 4 marzo 1996, non avesse interrotto la sua vita mentre era di ritorno da Palermo, dove era stato per risolvere un contenzioso con la Federcalcio. Secondo la moglie, Grazia Codiglione – considerata la “nonna” dei tifosi etnei, recentemente scomparsa –, non era innamorato del calcio ma solo del Catania. Da un’intervista del 1985 (quotidiano “La Sicilia”): “Ecco, ho capito che la droga di mio marito è il Catania». Il Catania o il calcio? “Non il calcio in genere, ma proprio il Catania. Ma lo sa che quel pomeriggio dell’82, quando tutta l’Italia era appiccicata ai televisori, me compresa, per seguire Italia-Brasile, lui se ne è rimasto in giardino ad innaffiare i peperoni? E io a gridargli ‘Angelo ha segnato Rossi, Angelo ha segnato Falcao...’”. Maltese, il mitico massaggiatore del Catania, lo ricordò così a venti anni dalla morte, nel 2016: “Un giorno concesse un premio-partita da dividere tra tutti, dal magazziniere al capitano. Un giocatore si recò da lui e gli disse che quei soldi toccavano solo a loro, ma Angelo Massimino lo cacciò via in malo modo. Gli urlò: se non te ne vai, ti do un colpo di pala che ti stacco la testa!"”
Il Professore
Franco Scoglio, il Professore. Il più eccentrico tra i già non comuni. “Per lei sono o Professor Scoglio o Dottor Scoglio”, disse nel suo tipico accento quando ormai – nella comune inconsapevolezza – mancavano pochi minuti alla sua morte per infarto, mentre partecipava a una trasmissione televisiva e battibeccava con arguzia, rintuzzando il suo interlocutore. Aveva compiuto studi che giustificassero i titoli, insegnò davvero. Ma non era questo il punto, ovviamente.
Come Petru u Turcu e Totò, anche Scoglio, nativo di Lipari e dunque profondamente isolano, è stato iconico per la gente del sud. In ogni intervista, in ogni frase, in maniera esplicita o in modo implicito, emergeva il suo sentirsi orgogliosamente e superbamente siciliano, non abituato a compromessi: una “testa dura” che lottava per le sue idee.
Furono più l’istinto e il gusto per la battuta che la sua cultura a farne padre di quella locuzione, “parlare ad minchiam”, che è simbolicamente un lampo rivestito di latinorum in salsa sicula. E si noti come la circostanza, immortalata in un video, vede, come contorno, spettatori presenti che non osano neanche ridere, dire o ridire. Ipse dixit. “Lei deve stare zitto; non ci siamo …”. Ossidiana, pomice e tanto fuoco.
Colpiva molto l’infinita passione che mostrava per il suo lavoro e per il Genoa, il club più antico d’Italia. Quello già di Calì. Morì parlando della squadra ligure, come pure aveva profetizzato. Casualità.
Il suo calcio era votato alla matematica, alle statistiche. C’era un approccio scientifico. Tuttavia, il dato più pregnante è costituito dalla sua capacità di essere leader naturale, trascinatore, capo carismatico di gruppi da lui resi coesi. Quando, nella seconda metà degli anni Ottanta, il Messina dei suoi semi-sconosciuti “bastardi” incontrava il Pescara allenato da Giovanni Galeone, si misuravano due filosofie: il calcio è scienza o poesia? Capitava che prevalesse la prima. Poteva accadere, dunque, che il Galeone affondasse dopo essersi imbattuto nello Scoglio.
Non ha vinto scudetti e coppe, ma è uno dei più popolari allenatori di calcio. Ha guidato anche le nazionali di Tunisia e Libia dove si è scontrato con il figlio di Gheddafi, Saadi, all’epoca presidente della Federazione e capocannoniere del campionato libico. Pare pretendesse il posto in Nazionale ma il siciliano, dopo averlo visto giocare, lo escluse, non apparendogli un atleta di valore: forse segnava reti in virtù di compiacenze? Naturalmente, Franco Scoglio – che in realtà si chiamava Francesco anche lui, ma non venne ribattezzato Franz o Ciccio – fu subito licenziato. Era Franco di nome e di fatto.
“Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi prima di andare a Genova … che ben sicuri mai non siamo, che quel posto dove andiamo, non c’inghiotte e non torniamo più”. Il Comune di Messina gli ha intitolato lo Stadio di Calcio, il Comune di Reggio Calabria gli ha intitolato una via. È rimasto nel cuore del popolo genoano ma anche nel cuore di tutti gli amanti del calcio.
L’altro pallone
I grandi e gli appariscenti, d’accordo. Ma il calcio è anche contraddistinto da storie di uomini che, pur lontani dalla principale ribalta, hanno tuttavia lasciato un ricordo, flebile fin quanto si voglia ma connesso a qualcosa di tangibile.
Vittorio Schifilliti, messinese, è sconosciuto ai più. Aveva meno di venti anni, quando vestì la casacca del Catania e, esordendo in serie A, siglò dei goal: un predestinato. In verità, la sua carriera, che passò anche attraverso il Licata e la Massiminiana, fu non ad alti livelli.
Qualcosa di simile accadde per Emanuele Curcio, nebroideo di Sant’Angelo di Brolo, anch’egli dotatissimo. Poco più che ventenne fu tesserato dalla Roma, segnò una doppietta nella massima serie e poi continuò in campionati minori.
Di Antonio Maurizio Schillaci, cugino di Totò, si diceva che fosse potenzialmente più forte del parente. Fu pure a Licata, dove sfondò, per essere poi acquistato dalla Lazio. Giunse pure a Messina, giocò con il cugino. Poi la luce diminuì moltissimo, in più ambiti.
L’uomo che inventò il calcio-mercato aveva sangue siciliano, pur non essendo nato nell’isola. Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo e sicuro personaggio dell’epoca, morì in circostanza non chiarite, cadendo nel vuoto, men che quarantenne.
A lui parve ispirarsi Domenico Modugno, per la sua “Vecchio frack”.
Il calcio siciliano è anche il loro.
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La prima parte al link: https://www.internationalwebpost.org/contents/LA_SICILIA_NEL_PALLONE_%E2%80%93_(I%5E)_22260.html#.YM8cqugzaUk
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Andrea Vaccaro e Camillo Beccalli
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