LA SPOSA DI BUDDHA

CAPITOLO V - LA VALLE DEI SOGNI

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Ricordo di aver sentito il dolore di cento spade trafiggere le membra, poi una sensazione di calore e benessere ha pervaso il mio corpo, e sono scivolata prima in basso, risalendo sino a raggiungere il soffitto, come se stessi volando.

Avvolta dal bagliore della luce di mille lucciole, ho avuto la percezione che qualcuno mi chiedesse cosa avessi da mostrare del mio vissuto, e delle immagini del mio passato hanno preso a danzare davanti ai miei occhi. Pochi istanti dopo mi ritrovo proiettata nella mia infanzia, mano nella mano con Benedetta, a passeggiare nel campetto della scuola, liete di raccontarci le storie del mondo. “Guarda Benedetta, lassù nel cielo. Guarda le nuvole. Sembrano zucchero filato. Ma cosa sono le nuvole?”. E tu, sorridendo, mi rispondi da folle quale sei: “Le nuvole Nabhila, sono le nazioni. Ma non capisci? Quelle nuvole, sono il mondo!”.

Le immagini continuano a passare davanti ai miei occhi: mi rivedo mentre vado a giocare dopo la scuola in cortile e con una pallonata ho rotto gli occhiali ad una bimba. Quella che piangeva e la maestra, la giardiniera isterica come la intendevo io, che mi spingeva fuori dal cancello, strattonandomi da un braccio. Per me era stata un’esperienza mortificante.

LA MAESTRA

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Della scuola ci piace pensare ai bambini come ad un giardino, ed alla maestra come alla giardiniera. Ma, in questo paragone, si pensa a certe occupazioni secondarie come se fossero quelle essenziali, come per esempio potare i rami degli alberi, smuovere la terra, rimuovere le erbacce, praticare innesti con le forbici e il coltello. Immaginiamo la maestra come se fosse una giardiniera forsennata, che si affatica, lega, innaffia, e svolge le mansioni di giardiniera come se fosse lei l’artefice della crescita dell’erba e dello sbocciare dei fiori, o del far maturare i frutti. Difficilmente si conosce l’immagine di una persona che compie tutte le operazioni, come se fossero cose secondarie, perché così le piante crescano un po’ meglio; benché ella dovrebbe comprendere che le piante necessitano di acqua, di aria, di terra e, se non potrà procurarle, non le resterà che affanno e vana speranza. La sua mansione è quella di imparare ad osservare e a comprendere le piante affidate alla sua cura, per creare le condizioni ideali per la sana crescita, con quella pacata sicurezza che scaturisce da una effettiva e comprensiva osservazione. La giardiniera dovrà rammaricarsi allorquando un albero di ciliegie non darà frutti per diversi anni, dovendo dichiarare il fallimento del suo errato operare.

Nell’ambito della scuola, il miglior insegnamento è quello che si fa da pari a pari.

La scuola che ogni bambino vorrebbe è fatta di racconti e di esperienze condivise. Sicché un giorno ho pensato di avvicinare altri bambini come me, per confrontarmi. Con l’intento di insegnare loro la mia esperienza di bambina diversamente speciale, abbiamo fatto scuola per strada, nei campi o vicino al mare, semplicemente come un gioco. Il gioco d’imparare è durato fino a quando sono diventata grande, perché ho scelto di fare l’insegnante.

Tamil Nadu, aprile 1964

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Sono una bambina di strada. I bambini di strada in India sono quei bambini per i quali la strada, le abitazioni abbandonate, i campi e i terreni incolti rappresentano la dimora abituale e la fonte primaria di sostentamento, senza alcuna protezione da parte dei grandi. Vivo in strada insieme ad altri bambini che rappresentano la mia famiglia, e per via dell’indole nomade che ci contraddistingue è impossibile capire quanti siamo. Ci spostiamo di continuo, ma in tutto il paese siamo certamente centinaia di migliaia. Siamo tanti bambini e ci costituiamo in bande per aver una maggiore forza, per proteggerci. Siamo vulnerabili da soli, ma in banda siamo una potenza.

Negli ultimi anni nella città di Chennai, dove sono nata ed ho vissuto la mia infanzia, sono sorte le case dei bambini per dare protezione agli orfani come me, e sono rivolte a quei bambini provenienti da contesti familiari disagiati, protese a migliorare il livello di educazione dei bambini di strada, favorendo il loro reinserimento sociale. Sono tanti i bambini orfani che popolano le strade, le stazioni dei treni e degli autobus. Ogni casa accoglie circa una trentina di bambini. Quando sono rimasta da sola, a nove anni, qualcuno mi ha portato in una casa di bambini, e ci sono rimasta poco tempo; in seguito, sono stata adottata dai miei genitori italiani.

TAMIL NADU

La regione di Tamil Nadu ha una lunga ed apprezzata tradizione culturale; è un vasto territorio indiano conosciuto per la sua ricca letteratura, musica, danza ed arte in generale, che continuano a fiorire ancor oggi. Tamil è terra nota per gli antichi templi indù e per la forma classica della danza, Bharatanatyam.Caratteristiche culturali uniche, oltre che nella danza,vi sono anche nel campo della pittura, Thanjavurm. La letteratura tamil esiste da oltre duemila anni, dal primo periodo, definito letteratura Sangam, che risale al Trecento avanti Cristo; è la più antica forma letteraria con testimonianze scritte di tutta l’India, con i primi reperti epigrafici rinvenuti su roccia e pietre commemorative, che risalgono al paleolitico.

Qualche sbadiglio. I bambini si muovono, sussurrano, si annoiano. Non riescono a stare attenti e propongo di alzarci tutti in piedi, li invito a cantare. Battiamo le mani e i piedi, ritmando una canzoncina che ho insegnato loro. Adesso sono coinvolti nella lezione. Sicuramente di tutto quanto gli ho raccontato, qualcosa rimarrà nella loro memoria: la danza della pioggia, che assoceranno a Tamil e all’India.

La lezione continua ancora per pochi minuti con la spiegazione delle feste tipiche di Tamil.

Pongal è una festa di quattro giorni del raccolto; una delle feste più celebrate in tutto il Tamil Nadu. Nella Jallikattucontest, di solito tenuta il terzo giorno, si svolge un rituale combattimento dei galli e grandi e piccoli fanno scommesse, divertendosi a scapito dei miseri bipedi.

Il primo mese del calendario Tamil è Chittirai, e il primo giorno di metà aprile è celebrato il capodanno Tamil. Il calendario Thiruvalluvar è di trentuno anni avanti, rispetto al calendario gregorian: ossia il Gregoriano 2000, è Thiruvalluvar 2031.

Oltre ai maggiori festival, in ogni villaggio e città del Tamil Nadu gli abitanti celebrano feste per gli dei locali una volta all’anno, la cui durata varia da luogo a luogo.

Poi un viaggio nel buio. Sto male, perdo i sensi. Vado giù. Mi risveglio nel letto della mia stanza. Il viso di mia madre non denuncia preoccupazione, ma una nuova ruga si aggiunge sulla sua fronte bianca.

“Madre mia, non voglio sapere quel che mi è successo. Non ora. Raccontami una storia. Una storia sul carnevale...”.

C’era una volta Elfride, una bambina sola e triste allietata dalla musica di un giovane zio pianista, e atterrita dal rumore assordante delle bombe di un’annosa e triste guerra, quella che alcuni dei nostri nonni ricordano ancora, finita nel 1945. La bambina aveva tanti fratelli, una madre che aveva quasi la loro età, ed un padre che poteva essere chiunque, fra i tanti soldati dell’accampamento.

Elfride si ribellava. Troppe volte veniva percossa e umiliata dallo zio musicista e da altri prepotenti del quartiere in cui viveva, anche se era solo una bambina. Elfride piangeva spesso e proprio per questo i suoi occhi luccicavano come due stelle nel cielo, viste attraverso un vetro appannato e rigato dalla pioggia. La sua bocca rosa e sottile, quando alcune volte sorrideva, creava una ruga sul mento che le conferiva un aspetto triste ma nel contempo nobile e tuttavia era sempre pronta ad un nuovo sorriso. La bambina non sapeva giocare e il suo lavoro consisteva nell’accumulare quantità enormi di carte di giornale per fare buste di coriandoli, che poi vendevano in strada lei e i suoi fratelli, per poche monete.

Trenta buste di coriandoli al giorno le garantivano un pasto e niente urla o botte. Elfride a volte riusciva nell’intento. Altre volte invece no. I suoi amici più fedeli erano proprio i libri, i fogli di giornale, di quaderno o semplici pezzi di carta straccia. Sui pezzi di carta, Elfride appuntava qualunque pensiero che poi diveniva una poesia che riportava sui suoi quaderni con la copertina nera. Questa era la passione che la rendeva libera e distante mille miglia dalla guerra. Scrivere, leggere e fantasticare: in ciò consisteva la sua evasione dalla realtà di miseria e di solitudine in cui era nata. Elfride crebbe in fretta e, quando ebbe compiuto undici anni, cominciò a fantasticare sul suo futuro. Le piaceva passeggiare per ore in riva al mare, a piedi nudi, fino a tarda sera quando la luna era alta e sovrana nel cielo e i suoi pensieri volavano lassù, mentre una stella si accendeva nell’anima quando Elfride immaginava il suo futuro. Fu lì, su quella spiaggia bianca, che Elfride incontrava l’amore. Si chiamava Arhur. Uno zingaro bello e libero, abituato a prendere senza mai chiedere il permesso: quella notte prese Elfride e da quel momento la stella più grande smise di brillare nel suo cielo, all’improvviso.

La giovane non parlò mai con nessuno di quell’incontro e ricordava piangendo che non le era affatto piaciuto. Lei che immaginava l’amore, la prima volta, su un letto cosparso di petali di rose, in una stanza illuminata dalle fiammelle di mille candele e profumi di gelsomini nell’aria.

cms_9788/4v.jpgLa gatta ebbe tanti gattini che non nacquero mai. Essa li lasciava andare al mare e non soffriva; li sognava spesso, bellissimi e felici giocare insieme ad altri gattini. Al risveglio la gatta miagolava; il suo era un lamento ed anche un pianto’.

Il tempo trascorreva in fretta e il figlio di Elfride, l’unico bimbo che sapeva nuotare, nacque e le fu presto portato via. Giovanni divenne un ragazzo forte ed intelligente e nel tempo anche un brav’uomo ed un ottimo padre.

Elfride continuava a guardarlo a distanza, non dimenticando mai i suoi compleanni; ad ogni ricorrenza ella spediva dei libri di ogni genere e questo era il suo modo di essere presente; la donna non conosceva altro codice migliore per comunicare con il suo figliolo poiché, per lei, il regalo più bello consisteva nel viaggiare attraverso la lettura di un libro o vivere in una poesia d’amore.

Era un freddo pomeriggio di dicembre. La donna morì presto di malattia. Il suo amato figlio divenne un uomo di lettere, un maestro delle scuole elementari, uno scrittore. Tutti quei libri che Giovanni aveva letto erano le carezze che sua madre avrebbe voluto fargli, sicché Elfride gli aveva lanciato milioni di fantastici coriandoli, seminando in lui il seme del conoscere e del sapere: la lettura e lo studio che sono il colore dell’allegria, dell’evasione a volte, un po’ della malinconia. La malinconia che è quel che resta dell’amore”. Concluse così il suo racconto mia madre, e forse questa era un po’ anche la sua storia.

Susy Tolomeo

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