LA TURCHIA RIMANDA OFFENSIVA NEL NORD-EST SIRIANO

L’accordo con gli USA: una “safe-zone” congiunta per rimpatriare profughi siriani in territorio curdo

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A partire dall’8 luglio scorso le forze armate turche avevano ammassato uomini e mezzi in due punti della frontiera, corrispondenti alle località siriane di Tel Abyad e Ras al-Ayn, che si trovano sotto il controllo delle Fds. Dal 22 luglio il ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoğlu e il presidente Erdoğan hanno ammonito a più riprese che la Turchia avrebbe rotto gli indugi e ordinato l’attacco se gli Usa e i loro alleati non avessero accolto la richiesta della creazione di una fascia di sicurezza della larghezza di almeno 30 chilometri all’interno del territorio siriano lungo tutta la frontiera settentrionale fra Siria e Turchia – quel territorio amministrativo autonomo controllato dai curdi che dal 2012 viene chiamato Rojava – affidata all’esclusivo controllo delle forze turche. Ankara si sente minacciata dalle Ypg (Unità di protezione popolare) e dalle Ypj (le unità femminili diventate famose per la resistenza a Kobanè), che considera “organizzazioni terroristiche” e che di fatto sono la spina dorsale delle Fds. Le Ypg rappresentano l’ala militare del Pyd, che i turchi considerano il prolungamento siriano del Pkk turco, il partito armato indipendentista curdo di Turchia che, dal 1978, lotta per la creazione di un Kurdistan indipendente nell’attuale sud-est della Turchia (“promesso” dal Trattato di Sèvres del 1920).

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Se lo scorso 6 agosto il Presidente Erdoğan aveva annunciato una nuova offensiva militare nel nord-est siriano – notizia riportata dall’agenzia Anadolu – il giorno seguente Turchia e Stati Uniti hanno trovato un’intesa riguardo la creazione di una safe-zone e di un centro operativo congiunto (e non quindi a esclusivo controllo turco!) per gestirla. La safe-zone “diventerà un corridoio umanitario per favorire il rientro dei profughi”, ha spiegato l’ambasciata americana in Turchia, aggiungendo che l’accordo prevede la “rapida implementazione di misure che vadano incontro alle preoccupazioni della Turchia sulla sicurezza”. L’amministrazione Usa vorrebbe però che la fascia di sicurezza fosse larga la metà di quanto richiesto da Ankara, mentre per le Fds-Ypg non può essere larga più di 5 chilometri e deve prevedere la partecipazione delle loro forze alle operazioni di controllo e mantenimento dell’ordine. Pur avendo ridotto il numero di forze sul terreno – l’ordine presidenziale di Donald Trump nel dicembre scorso ha disposto il ritiro quasi completo delle truppe americane presenti nella Siria – gli Stati Uniti hanno ribadito che non accetteranno iniziative militari unilaterali, per voce del nuovo segretario di Stato alla Difesa Mark Esper. I rapporti tra i due Paesi sono già incrinati dal recente triangolo con la Russia riguardo gli S-400 (di cui abbiamo trattato in articoli precedenti). Gli americani sembrano però non avere obiezioni rispetto a uno degli obiettivi di Erdoğan: il trasferimento della maggior parte dei 3,9 milioni di profughi siriani che Ankara da alcuni mesi ha comunque cominciato a trasferire forzatamente nella provincia di Idlib, dove sono presenti 12 avamposti dell’esercito turco, istituiti in base agli accordi firmati ad Astana con Russia e Iran. Idlib rappresenta anche l’ultima sacca ribelle siriana, con 40mila miliziani che da lì lanciano missili contro i governatorati di Aleppo, Latakia e Hama, tutti sotto il controllo di Damasco. Per la Turchia il trasferimento di centinaia di migliaia di profughi siriani arabi e sunniti lungo la fascia di confine turco-siriana avrebbe un’importanza strategica, in quanto diluirebbe la maggioranza etnica curda della regione.

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Contro l’Ypg, la Turchia ha già condotto due campagne militari in Siria nel 2016-17 (Operazione Scudo d’Eufrate) e nel 2018 (Operazione Ramo d’Ulivo), conclusesi rispettivamente con l’occupazione della città di Jarabulus e con l’occupazione del cantone di Afrin, perdendo 71 e 58 soldati. “La Turchia farà tutto ciò che è in suo potere per impedire l’emergere di un’entità curda lungo il suo confine”, ha detto Adel Bakawan a Euronews. Specialista del Kurdistan, Bakawan è direttore dell’Iraq Centre of Sociology e ricercatore associato presso l’Istituto francese di relazioni internazionali. “L’Akp di Erdoğan è profondamente diviso in seguito alla perdita di grandi città come Istanbul e Ankara durante le elezioni locali di quest’anno - ha aggiunto – e un intervento militare permetterebbe al leader turco di tornare ad essere al centro della scena”. La terza campagna turca nel Kurdistan siriano sembra al momento essere rimandata.

Lorenzo Pisicoli

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