LA VALLE DEI SOGNI, DESTINAZIONE CONDIVISA

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Fin dai tempi antichissimi, il desiderio di vivere eternamente è stato sempre tra i più ambiti dall’umanità. Tutti i punti di domanda e ogni meraviglia legati alla nostra esistenza dipendono dall’intelligenza che solo l’uomo possiede, sebbene possiamo confidare sull’anima, che è perpetua. A garanzia e a sostegno di questa teoria, intervengono le dottrine filosofiche, che indicano diverse interpretazioni sulla materia.

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Non passa inosservato ai più attenti che l’autentica occupazione dei filosofi di ogni tempo sia stata l’interrogarsi su tutto quanto escluda la materia. In effetti, presi dalla quotidiana esigenza del nutrire e vestire il corpo, siamo distolti dal riflettere sugli arcani dell’anima, che resta così coinvolta e intrappolata, preda delle passioni. Tuttavia, nessuna filosofia può svelare il mistero del trapasso, e che cosa ci sia dopo la morte nessuno sa dirlo. La morte è un tabù, cerchiamo il più possibile di evitare l’argomento; ma morire è come addormentarsi. Un tempo, il sonno era inteso come fratello della morte. Mentre si chiudono i nostri occhi, i pensieri e i ricordi cadono nell’oblio; Morfeo ci abbraccia con le sue grandi ali nere, e ci fa dono di un mazzo di papaveri rossi.

Il concetto di morte cambia a seconda delle culture e delle religioni nel mondo. E’ scritto nei testi vedici “l’uomo non è mai nato, e quindi non muore”, e così è anche per le leggi dell’universo. Nella cultura greca non si accetta l’idea dell’infinito. I greci ipotizzano un aldilà come un mondo ultraterreno, privo di emozioni. Un luogo in cui il defunto vaga eternamente. Ma dove andiamo, quando passiamo ad altra vita?

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Secondo i greci, era Caronte, figlio di Erebo e della sorella notte, il traghettatore delle anime che trasportava i defunti che avevano ricevuto un giusto rito funebre. Tutti gli altri restavano a vagare in prossimità del fiume Ade, in eterno.

La Bibbia prevede il giudizio universale, e quindi una fine. Per i cattolici il premio dopo la morte consta nella contemplazione della luce. Allah, per i musulmani, è un dio che premia un buon comportamento terreno, con il beneficio postumo di un paradiso ricco di fiori e frutti, gremito di fanciulle belle e caste.

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Il ciclo dell’incarnazione, secondo i Sumeri, prevedeva che l’anima si purificasse dei peccati per tornare a vivere. I Maya dopo la vita si trasferivano nello Xibalbà, dove mantenevano tutte le caratteristiche connotative e lo status sociale terreno.

L’ansia e la depressione portano a riflettere sulla paura della morte. Diversamente, quando l’uomo è attivo e impegnato, risulta essere libero da pensieri negativi e da ogni timore. Se non avessimo l’invecchiamento, e la conseguente mortalità fisica, non potremmo comunque sottrarci al dolore e alla sofferenza. Buddha insegna che l’attaccamento è una catena che imprigiona il nostro cuore, e che ogni cosa che esiste è impermanente. Quando si comprendono queste verità, ci si distacca dalla sofferenza e questo è il cammino verso la purificazione. Il buddhismo è chiaro in merito al concetto di sopravvivenza della coscienza individuale, così tanto che i monaci tibetani hanno scritto addirittura un trattato dei morti, con le indicazioni di come affrontare il trapasso. Per l’induismo, non c’è una coscienza individuale, ma una coscienza totale capace di rompere i confini per essere liberi dall’ego.

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Ma dov’è posta la coscienza? Molti ricercatori illustri, in verità, sostengono che il cervello non sia la sede della coscienza, bensì un recettore di essa, una specie di radioricevente che permette la connessione tra la materia e la coscienza. Siamo energia. La scienza moderna stabilisce che l’energia forma tutto, ed è una sola. Ci piacerebbe avere la certezza che non tutto finisca con la morte, perché non vogliamo pensare di disperderci nel nulla e non desideriamo essere dimenticati.

L’immortalità rifiuta l’idea del domani. Senza un domani, l’uomo non potrebbe esperire la bellezza dell’attesa leopardiana (ricordiamo “Il sabato del villaggio”) o del cambiamento. In fondo, se fossimo eterni non avremmo il piacere di cogliere l’attimo, né lo stimolo della crescita fisica e intellettuale. Non avremmo né speranze, né sogni. “Immortale è colui che accetta l’istante”, sosteneva giustamente Cesare Pavese.

L’unica certezza, alla fine del nostro cammino, è il raggiungimento della valle dei sogni: la destinazione ultima e condivisa della meravigliosa avventura umana.

Susy Tolomeo

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