LEGGIAMO

Il giglio marino di Lampedusa. Frammenti di solitudine

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cms_23609/1.jpgSono rimasto affascinato dalla lettura del libro di Caterina Jazira Famularo, Il giglio marino di Lampedusa. Frammenti di isolitudine. Pensieri e stati d’animo di chi vive a Lampedusa, edito da Armando Siciliano (Messina-Civitanova Marche 2021)

Mare e Vulcano. I-Solitudine e vento. Memoria e Resilienza. Sono coordinate per una "navigazione" in un testo-mare vasto quanto l’interiorità del "capitano di lungo corso" Caterina Jazira Famularo.

Vergate con tratto certo e lungamente meditato, mai gratuito, vengono raccolte in una sorta di giornale nautico che trascende potentemente il genere del registro e somma, fondendoli in unico prodotto editoriale: note autobiografiche, giustamente individuate come frammenti (nessuno, tornerebbe ad affermare con prontezza rav Abraham Joshua Heschel, può scrivere in anticipo la propria biografia); silloge poetica, i cui versi graffiano anima e coscienza come fossero pietra lavica; album fotografico, quale memoria che fissa nelle immagini, colte da angolature venuste, Lampedusa con la sua ricchezza antropologica prima che paesaggistica: il rimando alla icona della "Famiglia lampedusana, anni Cinquanta" di pag. 243 mi pare necessario e non meno imprescindibile è quello relativo alla foto di "Catrina" con Massa (pag. 201) e della stessa con i bambini temporaneamente ospiti al Centro di Contrada Imbriacola (pag. 207).

cms_23609/2_1635212195.jpgNe’ Il giglio marino di Lampedusa non c’è parte del discorso: nome, verbo, aggettivo… che non fluisca o coli sul lettore come l’acqua cristallina del mare di Lampedusa o la lava incandescente dell’Etna, quest’ultima nella sua scioccante incandescenza brucia ipocrisie, infingimenti, dietrologie, le quali ‒ ahinoi ‒ abbondano in casa europea, e non solo nella vulgata politica, ma anche nel così detto "pensiero" mainstream e nella subcultura tendenzialmente "bufalina" (non me ne vogliano le bufale mediterranee!) veicolata dai social network. L’Autrice non scrive di immigrazione, ma di vita e umanità. Dà perciò un contributo ad un umanesimo mediterraneo che ha nell’accoglienza, nella tenerezza, nel dialogo, negli affraternamenti, nel meticciato, alcuni dei suoi snodi e cifre caratterizzanti.

cms_23609/3.jpg La scrittura, se abbiamo letto correttamente la Nostra, proiettandoci oltre l’ostacolo dei segni linguistici, decifrando concetti e immagini acustiche, non è semplice anàmnesi, ricordo di un passato, né operazione catartica, tanto in senso greco che psicoanalitico, ma trasmissione, nel senso fortissimo del "tradere" latino, della personalissima danza sull’acqua, nella quale l’intreccio tra piedi, l’intero corpo, e tutta l’anima, si librano dall’incanto nella lotta per la libertà dal mare: infinito del quale non vuole e non può fare a meno. «Libertà schiava dal mare» è ossimoro ricorrente. Le metafore della Famularo sono ardite ed ardenti. Il mare che è la vita per un’isolana, lo si può surfare, planare in superficie, ma il pescatore non si limita a solcarlo con una tavola, va in profondità, ne esplora i fondali, ne coglie le iridescenze nascoste, ne ammira la fauna dalle cromie vivaci e cangianti, sa riconoscere il fischio del vento, che come arbitro in una competizione sportiva, detta i tempi, impone i divieti di navigazione e di immersione.

cms_23609/4.jpg Il vento. È la voce a cui il pescatore dà ascolto. Il vento anima, dando vita ad onde ribelli, tante pagine del nostro testo. Il vento è anche metafora del tempo, che ha levigato con i suoi granelli di sale, i lineamenti dell’esistenza della Famularo, ne ha solcato il volto, ora spianandone le rughe, ora tracciandone le linee, come monumenti a se stesso e di se stesso. Al vento si aggiungono altre realtà metaforiche che ruotano nel campo della libertà e della dinamicità della vita, e delle metamorfosi di questa: la farfalla, crisalide che si libera dal suo bozzolo; il gabbiano, la libertà creativa; il faro, proiezione di un fascio di luce che compete con le tempeste e la forza dei venti. Faro, non sfugga al lettore, è Lampedusa, "Lampaduza" per gli arabi, e Caterina-Jazira ne è icona e metafora, e viceversa.

Il mare, e l’isola animata dal vento, e la notte di questa illuminata da un faro, è l’idea mondo della nostra Autrice.

cms_23609/5.jpg Nel flusso magmatico della narrazione o nella liricità del verso o nella plasticità della posa fotografica risuona continuamente la semantica del mare, non meno che quella dell’anima e dei sentimenti, della memoria e del ricordo, della speranza e della benedizione, dispiegata in registri cui abbiamo fatto già cenno e in timbri che rendono la pagina ariosa, la lettura piacevole, ma non per questo distraente. No. Il giglio marino come il mandorlo, lo shaqued in ebraico del profeta Geremia, che significa "il vigilante", o il mandorlo che dice Dio alla quercia con la sua fioritura, del poeta greco Nikos Kazantzakis, è una parte notevolissima di un viaggio di vita che sa generosamente concedere non meno che togliere. La lettura de’ «Il giglio marino di Lampedusa. Frammenti di isolitudine. Pensieri e stati d’animo di chi vive a Lampedusa» se non inquietasse, se non generasse moti di ribellione per i «corpi senza nome e per i nomi senza corpi» o per la morte «che sorprende gli angeli e ne spezza le ali prima ancora di farli volare», adulti e bambini, ingoiati dalla inumanità a fronte della odierna migrazione, sarebbe davvero parziale, incompleta, al limite del travisamento e della futilità.

Se non possiamo obiettare sulla personalissima autopercezione di Caterina Jazira Famularo ‒ chi potrebbe sostituirla?! ‒ la quale ritiene, e non a torto, che parte della sua vita sia stata caratterizzata dalla tessitura di orditi e trame intessute e disfatte, è proprio grazie alla «metamorfosi della ferita» ‒ la resilienza ‒ che fa fiorire dalla vita che piega, e che talvolta irrimediabilmente spezza, trame preziose di speranza, della quale Caterina Jazira Famularo ne è una generosa quanto abile sarta.

E il giglio marino disse al vento: «Tu mi piegherai mille volte ma non mi spezzerai. E più mi piegherai più il mio stelo resisterà e si fortificherà».

Alfonso Cacciatore

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