LE SPIGOLATURE ECONOMICHE DELLA SETTIMANA
Sette cose da tenere d’occhio

Riflessioni elettorali italo-francesi
Italia.
Flop per i Cinque Stelle che mancano l’obiettivo ballottaggio in tutte le grandi città, prima fra tutte Genova. Il risultato del primo turno delle elezioni amministrative in 1.004 Comuni italiani, registra un ritorno allo schema originario, diviso tra Centrosinistra e Centrodestra, con qualche eccezione civica.Da ciò non può trarsi certamente una previsione attendibile su scala nazionale e comunque occorrerà attendere l’esito del secondo turno, tra due settimane, per capire quale potrà essere la linea da tenere alle politiche del 2018. Per ora il modello Toti, in una coalizione trainata dalla Lega, sembra aver conseguito il maggiore successo. “Il Centrodestra ci può essere – spiega Maurizio Gasparri – vedremo lo scenario nazionale”. Il Pd tiene, ma farebbe bene a ricompattarsi. “Laddove la sinistra è dentro il Centrosinistra va, dove il Pd sceglie l’autosufficienza esce fuori” rimarca l’area che da Pisapia arriva a Si. L’affluenza cala di 6,78 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni. Parlare di programmi economici è prematuro, soprattutto in vista di larghe alleanze. Difficile capire, a destra come a sinistra, quali potrebbero essere i punti dominanti, considerate le profonde differenze dei protagonisti delle eventuali coalizioni.
Francia.
Esulta il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, dopo che i risultati del primo turno delle legislative, hanno premiato La République ne Marche col 32,32% delle preferenze. Al secondo posto, con uno stacco notevole, i Républicains che ottengono il 21,56%. Non va oltre il 13,20% il Front National che si posiziona sotto il partito di Jean Luc Melenchon col 13,74%. Sonora sconfitta per il Partito socialista che scende al 9,51%.A En Marche andrà la quasi totalità dei seggi: tra 415 e 455 su 577. Per ottenere la maggioranza sarebbe bastato vincerne 289.
E la Brexit ora?
Uscita indebolita dalle elezioni, Theresa May dovrà ora fare i conti, nella negoziazione della Brexit, con un’Europa più forte, abbandonando la strada prefigurata: quella di una trattativa “hard”. Le circostanze potrebbero costringerla a non abbandonare completamente tutti i trattati e le istituzioni di cui la Gran Bretagna fa parte, garantendo persino la libera circolazione delle persone. Una situazione simile a quella adottata dalla Norvegia dunque. Certo, è improbabile che l’articolo 50 invocato lo scorso 29 marzo venga ritirato, anche se, in via teorica sarebbe possibile, non essendo lo stesso irrevocabile.
Al centro dei negoziati - che Michel Barnier ha detto “devono iniziare quando il Regno Unito è pronto” – c’è il conto, tra i 60 e i 100 miliardi di euro, che la commissione Ue intende presentare ai britannici quale conseguenza del loro addio. La cifra sarebbe comprensiva della contribuzione comunitaria non più versata. David Davis, il ministro britannico per la Brexit, ha sottolineato che Londra pagherà solo il “legalmente dovuto, non quello che vuole l’Ue”.
Il rischio dell’instabilità politica c’è e come ha sostenuto l’analista Morgan Stanley ciò finirà con l’indebolire l’economia “Tuttavia, la prospettiva di un allentamento della politica di bilancio e la rinuncia a una ’hard Brexit’ determineranno, a medio termine, un miglioramento dell’outlook per il Pil”.
Il clima di incertezza generale potrebbe riverberarsi sulla spesa delle famiglie e sugli investimenti delle imprese.
Secondo Jim Leaviss, capo del Retail Fixed Interest diM&G Investments, “l’impulso alla crescita dell’economia britannica si sta affievolendo man mano che l’anno va avanti. La crescita delle vendite retail, i prezzi degli immobili e i redditi aggiustati all’inflazione stanno indebolendo quello che rimane di un’economia molto deteriorata. Il risultato delle elezioni e la continua incertezza che comporta suggeriscono che questo trend continuerà”.
Gli Italiani e quel vecchio amore per la proprietà
Se il mondo avanza verso un modo “smart” di pensare la vita, più flessibile e con meno pensieri, l’Italia non abbandona la vetusta proprietà, nemmeno – ed è il suo caso – in presenza di una tassazione elevata. Un rapporto del Mef e dell’Agenzia delle Entrate, in base a dati censiti nel 2014, ci dice che il 77% delle famiglie – 20 milioni di nuclei circa – possiede le abitazioni in cui abita, ponendo la nazione al quinto posto in Europa, superata solo dallaRomania, al primo, dalla Spagna, al secondo, dallaGrecia, al terzo e dal Portogallo, al quarto. I dati sono dell’Eurostat e risalgono al 2015. Parecchio più indietro ci sonoRegno Unito, Franciae Germania, dove la gente preferisce l’affitto. Va comunque considerato che, non potendo le giovani generazioni permettersi l’acquisto di casa, dal 2005 ad oggi, la percentuale di chi vi ambiva è scesa dal 71 al 60%.
Reddito d’inclusione al via a gennaio 2018
Dopo il via libera del Consiglio dei ministri, la misura contro la povertà dovrà acquisire i pareri delle commissioni parlamentari competenti per entrare in vigore dal prossimo primo gennaio. Avrà diritto al sostegno chi presenta un reddito familiare, certificabile a mezzo ISEE, non superiore a 6.000 euro e un valore patrimoniale immobiliare, diverso dall’abitazione, entro i 20.000. Dunque saranno ammesse le famiglie che, pur essendo proprietari della casa in cui vivono, versano in una condizione di povertà. Priorità sarà garantita ai nuclei con figli minorenni o disabili, donne in gravidanza e disoccupati ultracinquantenni. Il governo stima che, destinatarie della misura, saranno 660mila famiglie. L’importo dell’assegno mensile andrà da 190 euro per una persona, fino a quasi 490 per un nucleo con 5 o più componenti e durerà al massimo 18 mesi. Per inoltrare una nuova richiesta ne dovranno passare almeno 6.Ci si chiede quanto centonovanta euro riescano a risollevare le sorti di un disoccupato over cinquanta, auspicando che si miri a misure che contrastino effettivamente la carenza di lavoro.
Dove va il lavoro: verso un modo tutto smart
Se sul fronte del pubblico impiego la riforma Madia mette mano al capitolo licenziamenti, col nuovo codice disciplinare che entrerà in vigore il prossimo 22 giugno, proponendo una stretta sulla falsa attestazione di presenza e sullo scarso rendimento, il mondo del lavoro procede verso una direzione più flessibile e a misura. Dopo l’approvazione in Senato della legge sullo smart working, il 10 maggio scorso, è tutto pronto. L’Osservatorio del Politecnico di Milano, ha condotto, in collaborazione con Doxa, un’indagine su un campione di oltre 1000 smart workers italiani, scoprendoli più soddisfatti rispetto alla media dei lavoratori. Dal 2013 sono cresciuti complessivamente del 40% e raggiungono 250mila unità. Ma i numeri sono ancora troppo bassi. Se anche la P.A. si dotasse di uno strumento del genere, probabilmente la qualità del lavoro migliorerebbe e non poco. Il 25 maggio scorso è stata approvata, in conferenza unificata Stato-Regioni, una direttiva del dipartimento di funzione pubblicache fissa modalità e criteri di utilizzo del lavoro ‘agile’.“Lo smart working è un’innovazione potente, figlia dello spirito del nostro tempo, che usa la tecnologia per rinnovare l’organizzazione del lavoro, migliorare i risultati e questo vale anche nella pubblica amministrazione, dove si va ad aumentare efficacia ed efficienza. Spero che tutto questo, alla luce anche della nostra direttiva specifica, venga supportato dai dati. Abbiamo deciso in parallelo di misurare come i primicasi di smart working incidano sulla qualità dei servizi ai cittadini: sono certa che presto avremo elementi che indicheranno una migliore qualità”, ha dichiarato, nel corso del convegno organizzato dal Cesma, il ministro della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione,Marianna Madia.
Gentiloni e la manovra
Potrebbe non essere così “lacrime e sangue”come paventato da qualcuno, la manovra che tra qualche settimana sarà presentata dal governo Gentiloni che addirittura vedrebbe, secondo quanto dichiarato dal viceministro all’economia Enrico Morando, un taglio del cuneo fiscale per i giovani e la staticità dell’Iva. “Ci sono orientamenti della Commissione rilevanti per cui è possibile ridurre del 50% la dimensione dell’aggiustamento strutturale rivisto dal Def e sarà più facile eliminare le clausole di salvaguardia” ha precisato durante il convegno dei giovani di Confindustria a Rapallo.
Ritratti dell’economia. Le donne della Grande Guerra
Correva l’anno 1915 quando un esercito di uomini dedito al lavoro nei campi e nelle fabbriche, venne distolto dalle proprie mansioni, dotato di uniforme e inviato al fronte a respingere l’avanzata austro-ungarica. Le terre rimasero vuote e la produzione ferma, finché le donne non presero il loro posto. Fu un momento molto importante per la storia sociale italiana. Da angeli del focolare domestico divennero parti attrici dell’economia del Paese. Non che fossero del tutto nuove a questo tipo di esperienza: molte di loro erano abituate al lavoro agricolo e a livello industriale, qualcuna operava già nel settore tessile. Ma in quell’anno fecero il loro ingresso nella metallurgia, nella meccanica e nei trasporti, impiegate con mansioni amministrative. Non fu un processo indolore. Erano obbligate a compiere gli stessi lavori degli uomini, compresi quelli più pesanti, nei campi come in fabbrica. Presero il posto dei propri mariti anche nel disbrigo delle pratiche burocratiche e ciò condusse a una prima grande emancipazione lavorativa. La stessa non si estese però alla sfera personale: nelle maggior parte delle case erano rimasti gli anziani che continuavano ad esercitare un ruolo moralistico. Lo stesso facevano i vecchi operai nelle fabbriche che recepivano come un sovvertimento dell’ordine naturale delle cose la presenza femminile. Ma fu grazie a quell’esercito silenzioso di donne coraggiose che la Nazione andò avanti.
L’impegno contagiò persino le borghesi e le aristocratiche che si attivarono in raccolte di fondi e materiali da inviare in trincea. Lavoravano noccioli di albicocche e pesche per farne sapone e inventarono indumenti antiparassitari, in grado di prevenire la pediculosi. Molte si mobilitarono in associazioni di soccorso medico, prime fra tutte la Croce Rossa che, nel 1917, disponeva di circa 10mila volontarie.
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