LO SCENARIO POST-ELETTORALE IN EUROPA

Bilanci e prospettive future a due settimane dal voto

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Come sappiamo, tra il 23 e il 26 maggio i cittadini europei hanno votato i 751 deputati che li rappresenteranno nel Parlamento europeo per i prossimi cinque anni. Durante la prima sessione plenaria, prevista per il 2 luglio, gli eurodeputati saranno chiamati a eleggere il Presidente del Parlamento e i vicepresidenti.

A distanza di due settimane dal voto, qualche riflessione appare doverosa: innanzitutto, possiamo affermare con certezza che questa del 2019 è stata la tornata elettorale che ha visto il maggior tasso di partecipazione (oltre il 50% degli aventi diritto voto si è recato alle urne, il dato più alto negli ultimi vent’anni), nonostante il risultato sia in controtendenza per il nostro Paese; in secondo luogo, l’onda nera che nei sondaggi pre-elettorali era prevista dilagare un po’ in tutta Europa, non è riuscita a evitare l’affermazione dei gruppi popolare e socialista (che hanno conquistato rispettivamente 178 e 153 seggi). L’affermazione dei gruppi euroscettici, infatti, non è andata oltre i 117 seggi (63 per il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei “ECR” e 54 per il Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia diretta), imponendosi, però, in Paesi leader e strategici quali Italia, Francia e Gran Bretagna, quest’ultima ancora alle prese con il caso Brexit.

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Fondamentale per la futura maggioranza all’interno del Parlamento sarà il gruppo dei liberali di Alde, rilanciato solo in parte dalla spinta del Presidente francese Emmanuel Macron (in Francia, Alde si è affermato secondo dopo l’Ecr, mentre in Italia non è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 4%) e uscito vincitore in Danimarca, Estonia e Repubblica Ceca. La vera sorpresa, tuttavia, restano i Verdi. Conquistando 74 seggi (e posizionandosi al secondo posto in un Paese importante come la Germania), rappresenteranno una sorta di quarta gamba su cui dovrebbe poter poggiare saldamente la maggioranza parlamentare. Queste sono le considerazioni di cui dovrà tener conto il Consiglio europeo quando, in occasione della seconda plenaria di luglio, i leader dei diversi Stati membri saranno chiamati a eleggere il nuovo Presidente della Commissione. La scelta dovrebbe ricadere su uno degli Splitzenkandidaten (il meccanismo di selezione dell’esecutivo introdotto per la prima volta nel 2014 e confermato dall’Eurocamera in una risoluzione del febbraio 2018); tra questi, saranno quasi certamente in due a contendersi la presidenza: Manfred Weber, quarantaseienne bavarese leader del Ppe, e Frans Timmermans, cinquantottenne laburista olandese, leader del Sd. Da qui si procederà poi alla proposta dei commissari da parte degli Stati membri, fino all’approvazione della nuova Commissione dal Parlamento, che diverrà operativa non prima del 1° novembre.

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Quale che sia la composizione della futura governance europea, l’Unione dovrà affrontare attacchi interni (processo Brexit, euroscetticismo…), ma soprattutto esterni: bisognerà, infatti, fronteggiare la crescente competizione commerciale con USA (divenuta sempre più aspramente anti-europea) e Cina; resistere e anzi rappresentare un’alternativa concreta alla pressione politica della Russia, specialmente nell’area balcanica; imparare a rispondere con un’unica voce ai conflitti internazionali. Nella convinzione che problemi globali necessitano di soluzioni globali, dovranno infine essere superati gli accordi di Dublino in materia di accoglienza e redistribuzione dei migranti, come suggerito dall’Euromemorandum 2018, senza tralasciare gli obiettivi della strategia “Europa 2020” volti a contrastare i cambiamenti climatici e la crisi occupazionale giovanile che dilaga in tutto il continente. Se non si giungerà al più presto all’effettiva unione politica, così come auspicabile, o quanto meno a una comune politica fiscale che permetta definitivamente di abbandonare le politiche di austerity, sarà realmente difficile rispondere alle sfide poste in essere dalla terza fase di globalizzazione in atto. Particolare attenzione dovrà quindi essere posta sul dialogo e sulla coesione tra gli Stati membri, che dovranno limare le mai risolte divergenze tra il centro decisionale e le sue periferie.

Lorenzo Pisicoli

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