LO SMARTPHONE CI SPIA

L’ipocrisia dell’utente medio

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cms_23508/1.jpgSi è tornati a parlare della possibilità che i nostri amici smartphone e Iphone, ascoltino tutto ciò che diciamo, tutto ciò che esprimiamo in fatto di desideri e volontà, tutto ciò che riguarda i nostri stati d’animo. Servizi televisivi, articoli sui quotidiani, approfondimenti ed editoriali hanno speso tutte le loro energie per dar vita all’ennesima crociata contro le tecnologie e i device portatili. Ci si è stracciate le vesti, si è gridato allo scandalo, si è fatto appello al Garante sulla Privacy affinché intervenga al più presto per porre fine a un abominio assoluto. Condanne bipartisan sono giunte sia dai pochi apocalittici ormai rintanati nelle montagne sia dai tanti integrati che hanno osservato il loro smartphone con occhi diversi. Dopo anni di confessioni vocali via chat e via audio, prontamente al primo grido d’allarme ecco che la maggior parte degli utenti ha cominciato ad adottare tecniche e tattiche difensive per far sì che il nemico non ascoltasse.

cms_23508/2_1634433492.jpgC’è chi ha disattivato l’assistente vocale di Google (dopo averlo utilizzato per anni anche, e soprattutto, per le cose più banali), c’è chi ha interpellato Facebook ed Amazon per fare pubbliche rimostranze (anche se entrambi negano nella maniera più assoluta di fare spionaggio), c’è chi ha guardato in cagnesco Siri chiedendosi il perché si sia messo in casa in maniera volontaria una spia, c’è chi ha scaricato app (da Google) per bloccare pericolose incursioni nel nostro microfono. Insomma vi sono state scene da guerriglia tecnologica che forse saranno durate meno di quella tra gli inglesi e l’esercito di Zanzibar. Il motivo è perché come spesso accade le funzioni del nostro smartphone sono tutte essenziali, e se tentiamo di disattivarne una per un motivo qualsiasi, ecco che alcuni servizi ci vengono negati, e la maggior parte di noi non vuole rinunciare a nulla, si sa. La cosa però più importante su cui riflettere è un’altra, cioè la nostra immediata reazione schifata e indignata nel momento in cui qualcuno ci pone davanti a un’evidenza di cui conosciamo benissimo l’esistenza. Abbiamo delegato ai nostri smartphone qualsiasi informazione che ci riguarda, ogni più recondito desiderio o bisogno è presente nei server delle maggiori tech company del mondo.

cms_23508/3.jpgClicchiamo con nonchalance su ogni cookie che ci viene proposto, diamo l’assenso al trattamento dei nostri dati nel rispetto (!) della nostra privacy pur di accedere ad app e siti di informazione, crediamo di navigare nel più completo anonimato, scriviamo e riceviamo mail aziendali e private, utilizziamo piattaforme per studio e lavoro in remoto (nell’ultimo anno e mezzo c’è stato un vero e proprio boom a causa della pandemia), teniamo sempre aperte le maggiori app che utilizziamo per condividere e socializzare tipo Facebook, Twitter, Instagram, ecc., senza preoccuparci di effettuare il log out. Tralascio per motivi di spazio tutte le informazioni seminate tramite altre modalità come bancomat, Telepass, tessere varie, abbonamenti a riviste, ecc. L’indignazione è dunque ingiustificata, chiudere il recinto quando ormai i buoi sono fuggiti è l’atteggiamento di chi fa finta di non capire che l’oggetto tenuto in mano da miliardi di persone ha forse le sue colpe e le sue falle in merito alla riservatezza, ma che la maggior parte di queste orecchie e occhi accesi su di noi è per lo più da imputare al nostro dissennato atteggiamento poco attento alle proprie difese di utente e invece propenso ad avere sempre maggiori performance comunicative e presenzialiste sui social.

Andrea Alessandrino

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