La Scozia, tra indipendentisti e unionisti

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È duello tra Nicola Sturgeon e Theresa May. La prima chiede un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia, la seconda lo respinge, spiegando in una nota che un tale voto causerebbe incertezza e ricordando che la secessione fu respinta nel referendum del 2014.

Così mentre il Primo ministro della Gran Bretagna dà il via libera alla Brexit, la leader scozzese annuncia l’avvio, la settima prossima, dell’iter nel Parlamento locale di una procedura referendaria bis che potrebbe tenersi fra l’autunno 2018 e la primavera 2019.Sturgeon aveva anticipato, via Twitter, “un importante discorso prima dell’attivazione dell’articolo 50” che aprirà ufficialmente i negoziati tra Londra e Bruxelles. Secondo l’ultimo sondaggio Bmg, per l’Herald Scotland, i favorevoli all’indipendenza raggiungerebbero il 48%, i contrari il 52%.Il 18 settembre 2014 gli unionisti vinsero con 2.001.926 voti, pari al 55,3% dei votanti.

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Una vecchia ferita tra Scozia e Inghilterra che affonda le sue radici nelle guerre d’indipendenza, combattute tra il XIII e il XIV secolo. Due i trattati che ne derivarono: quello di Edimburgo-Northampton del 1328 e quello di Berwick nel 1357. Da entrambe le campagne, la Scozia uscì indipendente, mantenendosi tale fino al 1707, anno in cui venne votata la fusione che originò il Regno di Gran Bretagna. Fu in questo periodo che nacque la Union Jack, la bandiera britannica con le sue due croci – quella di San Giorgio e quella di Sant’Andrea – sovrapposte.

Gli anni che seguirono furono drammatici: la Corona vietò la lingua gaelica in pubblico, limitò il possesso di armi, proibì di indossare il tartan e di suonare la cornamusa. Favorì inoltre la confisca delle terre. Misure che di fatto miravano ad annientare l’identità scozzese.Fu con l’avvento dei romanzi di Walter Scott che si intraprese un lento percorso di riabilitazione culturale. L’Europa iniziò a guardare con interesse alle romantiche tradizioni, contrapposte al moderno capitalismo inglese. Due mondi vicini, ma profondamente diversi. Povero il primo, ricco il secondo. Un’ingiustizia di fondo che si estrinsecava in una radicata sperequazione. Gli scozzesi non poterono disporre delle proprie terre fino al 1886, anno di stipula del Crofter Act. Il governo garantì finalmente ai contadini l’effettivo possesso, degli appezzamenti occupati col diritto di lasciarli in eredità ai propri figli.Molto cambiò da lì al 1997 quando, l’11 settembre, gli elettori scozzesi approvarono, col 74, 3% dei si, il progetto di autonomia sostenuto dal governo laburista. Si costituì dunque un parlamento, secondo gli accordi di devoluzione politica.

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Le prime elezioni, nel 1999, conferirono al Labour la maggioranza dei seggi. Ciò non arrestò tuttavia la corsa del Partito Nazionale Scozzese che, in poco tempo, conquistò la maggioranza.Per sapere chi tra gli unionisti e i repubblicani indipendentisti avrà la meglio, non resta che aspettare. Sempre con un occhio attento alle sorti dell’Europa.

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