La cognizione che non può mancare in politica

Dal contratto probabilmente nullo di Raggi alle dichiarazioni di Beppe Grillo in merito alla stampa, forse una provocazione. Bandire il populismo è sbagliato, ma da ogni esponente politico deve pretendersi cognizione.

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Che si commetta un errore a bollare quali “populiste” le voci fuori dal coro, è un dato certo. In una contingenza complessa quale quella attuale, il buonsenso obbliga ad ascoltare ogni opinione, soprattutto se espressione di un malcontento generale. Politiche errate che hanno minato le fondamenta di un Paese in via di dissoluzione, misure economiche scriteriate, accantonamento del senso di giustizia sociale, corsa alla globalizzazione, ritenuta la panacea di ogni male, Maastricht. Queste le premesse della volontà di cambiamento, un salto nel buio, forse l’ultima spiaggia, comunque un segnale di insofferenza. Gli accadimenti attuali stanno però dimostrando che in politica non basta fare la voce grossa, sbandierando “onestà” ai quattro venti. Serve cognizione, condita con una buona dose di saggezza. Ci vuole una visione incontaminata e trasparente, dalla quale scaturisca un progetto realizzabile in ogni suo punto. Occorre un programma che si prefigga l’obiettivo di un tangibile miglioramento. Se manca uno solo di questi elementi, il rischio è quello di sprofondare nell’immobilismo, preambolo del fallimento.

Di contro, c’è bisogno che tutti ci si riappropri della conoscenza, affinché si onori il dettato costituzionale, esercitando il ruolo di garanti di una politica nel superiore e sovrano interesse popolare. Contribuire al miglioramento delle condizioni della Nazione è un diritto e un dovere morale di tutti. Si combatte non solo per l’affermazione delle proprie idee, ma perché tutti possano sempre coltivare ed esprimere le loro, anche se differenti. È il concetto, questo, di rispetto della libertà, che mai deve venir meno.

Se al primo livello della gerarchia delle fonti si pone la Costituzione, ogni norma di rango inferiore non può essere con essa in contrasto, men che meno i contratti che non sono norme, ma accordi tra le parti, di materia civilistica.

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Il prossimo 13 gennaio il Tribunale – civile appunto - dovrà pronunciarsi su quello che Virginia Raggi firmò lo scorso 20 aprile con la Casaleggio & Associati, con tanto di penale da 150.000 euro. Un atto che potrebbe essere ritenuto nullo perché violerebbe non tanto l’articolo 67 della Carta, come indicato nel ricorso, ma, secondo noi, proprio l’articolo 1 che attribuisce al popolo – non a un gruppo politico o a un movimento - l’esercizio della sovranità, espressa con l’elezione diretta di un amministratore che non può subire ingerenze esterne nel suo mandato.

Secondo indiscrezioni, sembra che anche gli avvocati di Raggi siano dello stesso avviso, concordi dunque nel definire l’atto nullo. Se il Tribunale darà loro ragione, la Sindaca si vedrà sollevata da qualsiasi responsabilità sancita, poiché quod nullum est nullum producit effectum.

Insomma, in un clima tutt’altro che favorevole, una piccola rivincita.

Ma non è la sola, se si pensa all’ammorbidimento del codice etico voluto da Grillo e Casaleggio sul tema degli avvisi di garanzia.

C’è una cosa che suscita però perplessità tra le affermazioni del leader pentastellato, apparsa sul suo blog. Forse una provocazione, chissà.

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“Tutti contro Internet. Prima Renzi, Gentiloni, Napolitano e Pitruzzella, poi il ministro della Giustizia Orlando e infine il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno. Tutti puntano il dito sulle balle che girano sul web, sull’esigenza di ristabilire la verità tramite il nuovo tribunale dell’inquisizione proposto dal presidente dell’Antitrust. Così il governo decide cosa è vero e cosa è falso su Internet. Propongo, non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media, cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa, il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo”.

La pluralità dell’informazione è indice di maturità di un Paese libero e democratico. Ogni testata, nella sua integrità etica e professionale, opera in nome della verità, nel rispetto della normativa vigente. Chi non lo fa, è chiamato a risponderne nelle sedi opportune.

Non è col bieco giustizialismo, né con la demagogia – almeno secondo noi - che si tessono le maglie del futuro, ma con quell’essenziale cultura che deve essere pretesa da chiunque si accinga a ricoprire ruoli primari nel governo del Paese.

Silvia Girotti

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