La funzione pedagogica dello sport

I rifugiati politici, un “calcio” al razzismo

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Sono numerose in Europa, molte in Italia; alcune, come la Liberi Nantes, rese note dalla trasposizione cinematografica: stiamo parlando delle squadre di calcio dei rifugiati politici.

Afro Napoli United, ASD Balon Mundial, ASD Koa Bosco, Atletico Diritti, Stella Rossa 2006, Tiki Taka United, per citarne alcune, sono i nomi delle squadre attive nel nostro Paese.

cms_7708/2.jpgIn Germania, ad Amburgo più precisamente, la Lampedusa Fc Hamburg prende il nome dal luogo in cui, nel 2011, gli undici rifugiati che compongono la squadra sbarcarono dopo un avventuroso viaggio nel Mediterraneo. Lavoravano in Libia e, dopo una permanenza di alcuni mesi in un centro di detenzione, sono arrivati nella città tedesca nel 2012; i ragazzi sono sostenuti dal St. Pauli, ilclub della città celebre per essere espressione dell’antirazzismo nel calcio.

cms_7708/3.jpgA Glasgow, in Scozia, Alan White, un giovane operaio scozzese, nel 2011 ha deciso di mettere insieme l’associazione sportiva denominata United Glasgow Fc,al fine di rimuovere gli ostacoli che i rifugiati si trovavano di fronte, specialmente in ambito sportivo. Il motto della squadra è “tupo pamoja”, che in swahili, la lingua parlata da alcuni dei membri provenienti dall’Africa orientale, vuol dire “noi siamo insieme”. Nata con una decina di giocatori, oggi l’United Glasgow Fc conta quattro squadre, di cui due formate da donne.

Anche in Francia i migranti si esprimono attraverso il calcio. A Lione è nata una squadra fondata e composta da richiedenti asilo. Creata da un rifugiato proveniente dalla Costa D’avorio, essa consiste in un team di giocatori provenienti dall’Africa Occidentale e dall’Est Europa. Ogni anno partecipano alla “Coppa della Speranza”, un torneo tra squadre di migranti e di associazioni locali. Vi sono realtà simili anche in Austria e Spagna.

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Tornando in Italia, a Roma, la Liberi Nantes è la squadra di Pietralata, il quartiere di cui hanno narrato Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini. Alberto Urbinati, il presidente, parlando di parrocchia e di ricostruzioni afferma: «I ragazzi della squadra hanno portato l’illuminazione in una strada del quartiere rifacendo l’impianto elettrico. Noi abbiamo fatto i lavori, lui paga la bolletta» scherza, indicando don Aristide, il parroco di San Michele Arcangelo, una piccola chiesa con la facciata in mattoni che sorge accanto al campo di calcio. Vicolo della Concordia, così l’hanno chiamato. Se lo cerchi sulle mappe non lo trovi, ma la targa c’è: è scritta a mano e sopra ci sono tante mani colorate. Una di queste è quella di Sumaila, giocatore storico. Sulla sua maglia campeggia una frase di Ben Harper: I can change the world with my own two hands (“Con le mie mani posso cambiare il mondo”).

Ed è forse proprio tutto qui il senso di queste belle iniziative, nettamente contrapposte ai deprecabili episodi di razzismo manifestato durante gli incontri del calcio che conta: le banane lanciate sul campo di gioco, i cori razzisti e, come è accaduto di recente, l’oltraggio ad Anna Frank, simbolo mondiale dell’Olocausto.

Se proprio vogliamo, magari non con le mani ma con i piedi, calciando un pallone, si può davvero cambiare il mondo.

Lucia D’Amore

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