La grande bruttezza
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Purtroppo si: c’è del marcio in Danimarca. Croce e delizia del cinema italiano, e in genere di gran parte delle espressioni culturali destinate a trovare riscontro in un mercato, è la congerie di norme che elargisce finanziamenti e agevolazioni fiscali. Nate molte anni fa con il lodevole intento di correggere l’eterna difficoltà di far collimare cultura e spettacolo con i bilanci delle società di produzione, hanno finito per creare canali privilegiati di approvvigionamento di risorse che finiscono sempre nelle tasche dei soliti noti.
Fin qui nulla di strano ci sarebbe, se il meccanismo portasse nelle sale cinematografiche “pellicole” (perdonate il lessico che nell’era digitale suona un po’ retrò) i cui temi, cioè i soggetti, con relative sceneggiature, si facessero largo con la naturale selezione di ciò che è più interessante e valido.
Manco a parlarne! Chiunque (anche il più grande scrittore del mondo) provasse ad avvicinarsi alla sede di una società di produzione con la semplice speranza di far valutare un proprio soggetto, non arriverebbe nemmeno a varcare l’ingresso dell’ufficio perché sarebbe accompagnato di forza presso un centro di igiene mentale e i fogli del suo manoscritto, pesanti d’inchiostro, verrebbero incollati come carta da parati utile a insonorizzare una cella attrezzata per neutralizzare i pazienti assaliti dai sintomi più gravi di incurabili patologie psichiatriche. E già, perché il rodato sistema è chiuso in sé stesso, nel senso che alla dispensa dei finanziamenti possono approvvigionarsi quasi sempre quelli che del circuito fanno già parte, dato che le risorse messe a disposizione catalizzano l’attenzione dei soliti soggetti professionali, ben attenti a sbarrare la strada agli intrusi. Il culmine di questa situazione si è raggiunto con il Decreto Ministeriale del 27 Settembre del 2004, per sana vergogna poi abrogato, con il quale fu letteralmente consacrato l’andazzo di attribuire fondi sempre agli stessi operatori. La singolare conseguenza di questa situazione è che, mentre chi nel cinema si occupa degli aspetti tecnici e operativi, attori compresi, ha raggiunto quasi l’eccellenza (dagli e ridagli, per forza di cose si affinano arti, mestieri e tecnologia di supporto) una involuzione irreversibile ha invece colpito chi dovrebbe partorire l’IDEA.
La spiegazione è intuitiva, poiché l’esigenza di elaborare un soggetto, una idea, affidata sempre ai medesimi autori, è decisamente nemica della creatività, della fantasia. Non è un problema che affligge solo il cinema, certamente, ma in altri ambiti, come quello della narrativa nostrana (commissionata dagli editori sempre a un pugno di scrittori, secondo la logica di un “tanto al chilo”), l’artificio libresco meglio camuffa le evidenti carenze di contenuto. Eppure non sarebbe difficile correggere il tiro, ad esempio facendo selezionare soggetti e sceneggiature inedite, e di cui sia impossibile risalire agli autori prima dell’esito finale, ad una giuria mista di esperti e popolari che selezionino i lavori che potranno ottenere gli agognati finanziamenti. Le ottime idee in giro ci sono, mentre pochi sono i geni in cui esse si ripetono, e sono certo che una piccola correzione come quella suggerita potrebbe valorizzare molti più talenti di quelli oggi noti al grande pubblico, riportandoci forse ai fasti di un tempo. Per ora dobbiamo accontentarci di singoli, rari fiori testardi che si fanno largo nelle crepe di un prato di cemento, un fiore come quello di Sorrentino, che toglie dalla vista, almeno per un po’, la grande bruttezza.
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