La lenta e inesorabile discesa agli inferi dell’editoria e la rapida salita in paradiso della rete

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È oramai una crisi senza fine quella dell’editoria italiana. Lettori in calo e giovani disaffezionati (aggiungerei anche poco educati alla lettura), costringono all’angolo un settore merceologico un tempo punta di diamante della nostra cultura nazionale. La Relazione annuale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) certifica un dato per nulla incoraggiante verso uno degli aspetti più rilevanti della cultura del nostro Paese, i prodotti editoriali. Nel 2017 esso ha perso ben 3,6 miliardi di ricavi complessivi, ossia il -5,2% rispetto al 2016, un deficit che sancisce ancora una volta una crisi del settore la cui soluzione è ben lontana da venire per i motivi sinteticamente esposti all’inizio.

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La stampa quotidiana e periodica, solo per fare un esempio, nell’ultimo decennio ha perso circa metà del suo peso economico, mentre nel solo 2017 il settore ha perso 3,6 miliardi di ricavi complessivi, cioè il -5,2% rispetto all’anno precedente. Se l’editoria ne perde c’è dall’altra parte qualcuno che ne guadagna e si arricchisce. La rete infatti fa da contraltare a questo panorama sconfortante, attraverso una crescita del peso relativo di internet negli usi e costumi degli italiani. Se nello specifico i quotidiani soffrono maggiormente la contrazione dei ricavi arrivando addirittura all’8,9% in meno, sono le piattaforme dell’online a beneficiare dei maggiori introiti a livello non solo di pubblico ma anche di ricavi: gli investimenti pubblicitari globali si spostano infatti dai media tradizionali proprio alle piattaforme online che crescono di oltre il 12% grazie a Google e Facebook.

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La relazione dell’Agcom certifica inoltre come ancora una volta la televisione rimanga il mezzo sia con la maggiore valenza informativa, sia il mezzo usato dal pubblico per la sua importanza e la sua attendibilità. È interessante notare come lo stesso mezzo televisivo venga guardato attraverso non solo la sua innata forma tradizionale, ma venga fruito anche attraverso lo streaming online, ovvero la rete rimane un valore assoluto per il pubblico nell’ampliare la propria scelta di visione dei contenuti trasmessi sugli old media. Il presente dell’informazione appare dunque abbastanza chiaro: milioni di italiani confermano la loro predisposizione verso il digitale e i suoi contenuti, con una dieta mediatica infarcita di vecchi e nuovi media tra loro interagenti. Si deve discutere e capire ciò che accadrà però domani, di ciò ovvero che accadrà in un prossimo futuro allorquando, con molta probabilità, saranno solo le piattaforme digitali a scambiarsi i ruoli di comando e ad avere una posizione di domino assoluto nel campo dell’informazione.

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I rischi più probabili e a cui da tempo gli esperti fanno cenno, sono relativi a un ecosistema dei media in cui un oligopolio di multinazionali e di canali mainstream porteranno a una probabile crescita di innaturali asimmetrie dell’informazione in cui i destinatari, ovvero il pubblico o, meglio, gli utenti, si troveranno completamente isolati in una bolla sempre più ampia di echi chambers in cui far crescere a dismisura sentimenti d’odio e derive legate all’abuso degli stessi mezzi. In gioco ancora una volta e come spesso è stato ripetuto, sono i valori dell’informazione e dunque della stessa democrazia, parola che con il tempo e a colpi di demagoghi e guru della rete sta perdendo sempre più i suoi connotati di presidio del e per il cittadino. Evitare la deriva populista fatta sempre più a colpi di disintermediazione è necessario, come anche è necessario che una trasparenza nella gestione dei dati e degli algoritmi, ovvero dei social network in primis, diventi prioritario nell’agenda della politica.

Andrea Alessandrino

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