La metà oscura della democrazia
Ero in procinto di metter giù le ultime righe circa i nostri viaggi tra gli articoli del referendum del quattro dicembre prossimo, ma poi mi sono arrestato, poiché, se all’inizio di questo percorso avevo una vaga impressione circa l’inconscia decisione collettiva di prescindere dal merito della riforma, a distanza di svariate settimane è ormai palese che il voto sia diretto semplicemente a premiare o a punire il Governo attualmente in carica, con il placet senza veli di media e opinionisti d’ogni origine. Quindi voglio tralasciare l’analisi degli ultimi articoli della Costituzione di cui si prevede la riforma (comunque si tratta per lo più di modifiche per un necessario raccordo, anche lessicale, alle norme di più ampio impatto) e spendere qualche parola per il fenomeno che vuole i quesiti referendari branditi per demolire o difendere Renzi e i suoi Ministri.
Ora, leggendo articoli e assistendo a dibattiti, un dato certo che emerge è l’oggettiva complessità della materia su cui si cerca e si è cercato di richiamare l’attenzione di cittadini. Questa complessità è testimoniata dalle discordanti opinioni dei politici più illuminati (lasciamo perdere quindi tutti quelli che abbiamo in mente), di costituzionalisti ben capaci che si sono spesi a favore o contro, dei giornalisti ed esperti in genere che ormai non sanno più cos’altro dire. Va dunque abbandonata la pretesa che i cittadini che svolgono mestieri o hanno interessi lontani da queste materie così tecniche diventino super-esperti pienamente consapevoli di ciò che stanno per votare, perché non si tratta di questioni sociali di immediato impatto emotivo come i temi del divorzio o dell’aborto, ma di aspetti molto settoriali. Non deve sorprendere, quindi, che in molti dichiarino apertamente di non capirci molto ma, soprattutto, di non volerci capire più di tanto. In tanti pensano, infatti, che attraverso il voto espresso alle elezioni essi hanno già delegato i propri rappresentanti ad esprimersi al loro posto, anche circa la eventuale modifica della Costituzione.
Pare, pertanto, che questo bombardamento (compreso il mio dalla nave immaginaria) per stimolare il giudizio di un intero popolo su riforme dai risvolti così complessi, sui quali nemmeno i grandi esperti si trovano d’accordo, sia divenuto alquanto surreale. E, aggiungo io, chi dichiara ancora adesso di voler convincere i cittadini a prendere una direzione perché migliore di un’altra, o non ha capito nulla o è in aperta malafede, poiché in pochi possono districarsi nella materia e ciò che l’imbonitore di turno dice o è segno di ingenuità o è un pretesto per strumentalizzare il voto verso un risvolto politico, anzi, beceramente partitico. Sotto altro profilo abbiamo però il privilegio di sperimentare uno dei limiti della espressione democratica, poiché, forse, un referendum su materie troppo tecniche non dovrebbe nemmeno essere previsto. Non appaiano irriguardose verso le espressioni di volontà popolare queste mie parole, tra l’altro condivise da penne più famose, poiché l’esclusione di alcune questioni da possibili consultazioni popolari, e quindi la sfiducia che i cittadini siano in grado di mantenere un giusto equilibrio su tematiche che presuppongono un grado di preparazione particolare, è un dato naturale ed è anzi proprio la Costituzione a prevederne un caso, e cioè la materia fiscale, appunto esclusa dall’art. 75 della Carta.
Di qui a stabilire un principio che, laddove le questioni siano molto tecniche, non si debba far ricorso al referendum, credo che il passo sia breve. A fronte di ciò ed acquisita, comunque, la certezza che il 4 dicembre si voterà semplicemente a favore o contro Renzi, è chiaro che ci troveremo di fronte ad un uso distorto dello strumento referendario, poiché l’espressione democratica in cui si sostanzia non sarà diretta verso lo scopo comune per cui è stato previsto, ma verso ben altri obiettivi. Dunque è quasi inutile parlare dei quesiti referendari e meglio sarebbe stato sin dall’inizio della campagna discutere se Renzi ha fatto cose buone da brav’uomo o se ha compiuto malefatte da meritare l’inferno. Messa così, la questione almeno si semplifica e pertanto l’esito del “referendum” non potrà non avere un risvolto politico molto forte, determinando la caduta o il consolidamento del Governo in carica.
La riforma della Costituzione? Val la pena parlarne? Visto che ci siamo sintetizzo, giusto perché mi trovo, il pensiero mio: era perfettibile ma qualcosa di meglio rispetto all’esistente c’è, sicché Di Pietro direbbe che un “sì” ci “azzecca”, con la consapevolezza che se passerà non vedremo il Paradiso ma che se non passerà non andremo al cospetto di Lucifero. Ci sarà però un’eco negativa, anche internazionale, in caso di vittoria del “no”, con qualche scossone in borsa e per settimane leggeremo e sentiremo la parola “spread”. Tranquilli, però, tutti i fautori del “no” sono comunque convinti che una riforma vada fatta e che, dal giorno dopo che riusciranno a mandare Renzi a casa, si metteranno tutti a progettare una riforma costituzionale davvero con i fiocchi. Quindi ne riparleremo, se tutto va bene, fra quarant’anni.
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