La presenza jihadista in Bangladesh

Ne gli ultimi tre anni teatro di attacchi di matrice estremista.

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Le autorità di Dacca hanno sempre negato la presenza di cellule appartenenti a Isis e ad Al Qaeda nel loro territorio. Negano anche in questo caso, collegando gli autori dell’attentato al ristorante Holey Artisan Bakery a un gruppo di terroristi locali, non appartenenti al Califfato.

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"Erano membri di Jamaeytul Mujahedeen Bangladesh" ha dichiarato il ministro dell’Interno, Asaduzzaman Khan. Un gruppo jihadista bandito nel paese da oltre un decennio. “Non c’è alcun legame con lo Stato islamico. Si tratta di giovani uomini che hanno studiato e frequentato l’università. Nessuno di loro veniva da una madrassa".

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Gli fanno eco le parole di AKM Shahidul Hoque, l’ispettore generale della polizia del Bangladesh che al quotidiano The Daily Star ha detto: "erano tutti bengalesi", di cui cinque militanti che le forze dell’ordine inseguivano da tempo. Ad oggi sono quasi cinquanta gli omicidi rivendicati da fazioni integraliste islamiche, attive in diverse zone del Paese, in un’escalation sanguinaria iniziata dai primi mesi del 2015. Il Bangladesh è un paese pacifico di religione prevalentemente musulmana (90,4%) sunnita, con minoranze sciite e Ahamadiyya. Seguono induisti (8,4%), buddisti e cristiani.

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Pur avendo inizialmente optato per un’ideologia nazionalista laica, sancita dalla Costituzione, è andato affermandosi nel corso dei decenni uno stile di vita fedele al paradigma musulmano che ha portato all’introduzione, tra il 1977 e il 1988, di diversi emendamenti costituzionali e proclami di governo. Se l’Islam è l’unica religione di Stato, è previsto per gli abitanti il pieno diritto a praticare, nei limiti di legge soggetti all’ordine pubblico e alla moralità, la fede religiosa di propria scelta. Nonostante ciò alcuni membri delle comunità indù, buddiste, cristiane e Ahamadiyya, continuano a subire discriminazioni, così come coloro che non si sono dimostrati allineati con l’interpretazione più severa dell’Islam. Attivisti per i diritti umani, giornalisti e professionisti dell’informazione sono caduti sotto i colpi dei jihadisti che avevano condotto attacchi mirati contro vittime prescelte.

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Cesare Tavella, cooperante, fu assassinato a colpi di pistola il 28 settembre 2015 mentre faceva jogging a Dacca. Il 21 febbraio 2016 è toccato a un capo religioso induista, ucciso durante un assalto presso un tempio nel distretto di Panchagarh, dove numerosi fedeli stavano pregando. Il 7 aprile, sotto i colpi di machete è caduto uno studente, nei pressi di Dacca impegnato nella campagna contro la radicalizzazione dell’Islam. L’omicidio è stato rivendicato da Al Qaeda.

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Xulhaz Mannan, attivista omosessuale trentanovenne, editore della prima e unica rivista bengalese “Roobpaan” e impiegato presso l’Agenzia Usa per lo Sviluppo Internazionale, è stato accoltellato a morte lo scorso 25 aprile da un commando di cinque persone che ha fatto irruzione in casa sua. Due giorni prima è stata la volta di un professore dell’università di Rajshahi, accoltellato mentre aspettava l’autobus. Agguato rivendicato dall’Isis.

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Il 30 aprile è stato massacrato con un machete Nikhil Joarder, un sarto indù responsabile di commenti sacrileghi su Maometto. L’8 maggio, nel distretto di Tanore, estremisti islamici hanno sgozzato un leader spirituale Sufi che predicava a Jumarpara. Il 21 maggio tre giovani hanno abbattuto a colpi di machete un medico omeopatico, Sanaur Rahman, colpevole di seguire la filosofia Baul che coniuga la musica alla religione, ma che è condannata dell’Islam.

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In Bangladesh il presunto leader dell’Isis sarebbe lo sceicco Abu Ibrahim al Hanifi (forse pseudonimo di Jamin Chowdhury), almeno secondo quanto riportato dal numero di aprile scorso del magazine di propaganda jihadista Dabiqche ha pubblicatouna sua intervista: “Una forte base jihadista in Bengal permetterà di condurreattacchi di guerriglia in Indiasimultaneamente da est e da ovest, creando paura e caos nel Paese con l’aiuto dei mujaheddin già sul posto”. I gruppi estremisti sarebbero presenti nelle zone di Mirpur e Gazipur.

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È probabile che le rivendicazioni degli omicidi e della strage di venerdì sera, possano rientrare in una strategia adottata da Daesh per apparire più forte e potente di ciò che in realtà è.

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Probabile anche che il Jamaatul Mujahideen Bangladesh, Jmb, uno dei due gruppi estremisti locali sul quale la polizia ha gli occhi puntati, possa essersi allineato all’Isis, seguendone i precetti. L’altro gruppo, l’Ansarul Bangla Team, appare invece più vicino alla galassia di Al Qaeda. Il rischio è che il Bangladesh diventi terreno fertile per le due principali organizzazioni estremiste, Isis e al Qaeda, come già è avvenuto in passato in alcune zone dell’Africa, come il Burkina Faso.

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Padre Franco Cagnasso, osservatore della realtà del Bangladesh sul sito del Pontificio istituto missioni estere, fa rilevare che l’Arabia Saudita, unitamente ad altri Paesi arabi, ha investito negli ultimi decenni parecchie risorse per “rieducare” i musulmani locali a un Islam “più autentico”, depurato da ogni accenno di modernità. Ciò avverrebbe attraverso la costruzione di migliaia di madrasse, istituzioni formative dove ci si educa ai precetti del Corano e al disposto del diritto religioso, escludendo qualsiasi altra formazione privata.
L’obiettivo sarebbe dunque crescere una generazione di ragazzi con una visione integralista e poco tollerante nei confronti di tutto ciò che non sia Islam. Sta di fatto comunque che a giugno scorso una massiccia operazione di contrasto al terrorismo, è stata messa in atto dalle autorità locali, portando all’arresto di oltre undicimila persone, tra cui circa 120 presunti fondamentalisti.

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Le ferme dichiarazioni d’impegno nella lotta al terrorismo estremista del primo ministro Sheikh Hasina, pronunciate a seguito della strage di ieri, fanno ben sperare.

Silvia Girotti

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