La sabbia: una risorsa in via di estinzione

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Tra le tante risorse naturali eccessivamente sfruttate dalla popolazione mondiale c’è anche la sabbia. Forse se ne parla fin troppo poco, ma i dati di questi ultimi anni sono davvero allarmanti. Infatti, si stimano quasi 15 miliardi di tonnellate all’anno, che vengono impiegate per la maggior parte nell’edilizia per ricavarne cemento. Ogni tonnellata di cemento ne richiede infatti 7 di sabbia unita a ghiaia. E così strade, edifici e i mostri di cemento delle nostre città continuano a risucchiare sabbia soprattutto dalle spiagge, dal fondo di fiumi e mari. Gli studiosi prevedono che nei prossimi anni il consumo di questa risorsa possa aumentare a 45 miliardi all’anno.

La sabbia di per sé è una risorsa rinnovabile, ma un eccessivo consumo non le permette di eseguire il suo naturale ciclo che nasce dall’erosione delle rocce.

Questo ovviamente potrebbe portare a gravi danni ecologici a carico di flora e fauna, all’abbassamento del livello delle acque e al prosciugamento di molti bacini. Cosa che accade soprattutto in Cina, che attesta come maggior consumatore di sabbia al mondo per la produzione di cemento e calcestruzzo. Per questi motivi, si sta letteralmente prosciugando il più grande giacimento di sabbia presente sul nostro pianeta: il lago Poyang.

Per di più, le tante dighe presenti nel mondo trattengono una grande quantità di sabbia, non permettendo a essa di fluire verso il mare. Anche l’agricoltura, così facendo, perde delle barriere naturali per filtrare l’acqua salata, che si insinua nell’entroterra creando non pochi danni ai microrganismi della fauna marina.

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Dentifrici, chip per computer, vetro, pannelli solari: queste sono le altre destinazioni del consumo di sabbia. E occorre ricordare che essa viene sfruttata anche per l’estrazione del petrolio.

Per non parlare poi delle isole artificiali fatte di sabbia, alcune delle quali situate negli Emirati e a Singapore, come il Palm Jumeirah e Burj Khalifa. Questi, infatti, alimentano un vero e proprio commercio della sabbia esportandola da altri paesi, quali Malesia, Cambogia e Indonesia. Spesso si tratta di strutture imponenti ma del tutto inabitate.

Alcuni paesi esportatori sono stati obbligati a interrompere da questo commercio per via dell’impatto ambientale che li ha molto condizionati con fiumi prosciugati e isolotti scomparsi.

Nei casi appena descritti si parla di un commercio legalizzato, ma in alcune zone del mondo impera quello illegale. Maldive, Malesia, Marocco: questi sono alcuni dei paesi in cui la criminalità organizzata controlla questo commercio illegale, estraendo tonnellate di sabbia grazie a una manodopera a basso costo e alla corruzione. Spesso il fenomeno ha ripercussioni anche sul turismo: sono tante le strutture alberghiere che sfruttano la sabbia delle spiagge, ma che dopo restano poco ricettive dopo aver depauperizzato il paesaggio circostante.

In alcuni paesi i governi hanno tentato di fermare questa estrazione illegale, ma con scarso successo, anche perché in alcune zone sono nate delle baraccopoli in cui le persone vivono nella povertà più assoluta.

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In alcuni paesi d’Europa, come la Germania e l’Italia, su alcune spiagge gli ambientalisti hanno vietato ai turisti di fare castelli di sabbia o di prelevare la sabbia per usarla come souvenir, cercando in questo modo di limitarne il consumo.

Per arginare l’eccessivo sfruttamento della sabbia esistono le tradizionali argilla e terra battuta. Alcune aziende stanno introducendo sul mercato nuovi materiali come la paglia di riso, che consumano poca energia e non inquinano l’ambiente.

Francesco Ambrosio

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