La stampa come sentinella della qualità dell’informazione
Il passaggio dalla carta al digitale o, se preferite, da un discorso di tipo analogico a un approccio digitale, ha segnato definitivamente un’epoca. Come accaduto in altri contesti, anche nel giornalismo accade ciò che quotidianamente si verifica in ambiti diversi tra loro ma interconnessi grazie alla rete, ovvero lo stabilire come metro di giudizio e di paragone una continua classificazione dei dati oggettivi e della conoscenza attraverso parametri qualitativi e poco su quelli quantitativi.
Ne è un esempio l’ormai abusato “clickbaiting” o con un termine ancor più spregiativo “click whore”, la produzione cioè di articoli con il solo scopo di attirare traffico verso il sito del quotidiano, un esempio dell’importanza data alla quantità invece che alla qualità dell’informazione. L’attuale fase dell’informazione non solo in Italia ma nel mondo, si presenta come un giornalismo in cui vi è un profluvio di notizie con il solo scopo di mostrare con l’ausilio a volte spregiudicato delle immagini, la realtà, senza considerare la necessità di farla non solo vedere ma anche comprendere.
La forza dirompente della rete si basa essenzialmente su un linguaggio figurativo che lascia ben poco spazio alla riflessione, lacuna che deve essere colmata dalla stampa attraverso non solo operazioni di fact checking, ma anche con integrazioni e coinvolgimento relazionale con i lettori. La qualità dell’informazione deve ancora una volta essere espressione della stampa, capace di aiutare a costruire ponti intergenerazionali e a costruire comunità d’interesse su temi e istanze comuni, spesso lasciate all’improvvisazione e all’emozione del web. Recuperare dunque le persone sembra essere oggi la vera e propria mission del giornalismo su carta stampata, lasciando che siano i padroni del marketing a considerarle solo come un target alla bisogna.
Su questa sfida si gioca la qualità offerta dai contenuti a mezzo stampa e distribuiti all’interno di un sistema mediatico e informativo in cui vige la dittatura della quantità e della ridondanza. Il modello della stampa deve acquisire un certificato riconosciuto dall’opinione pubblica come di unica fonte di informazione sostenibile e possibile in un quadro generale basato sugli algoritmi e non sui contenuti. Ritornano allora prepotenti i valori della deontologia giornalistica come professionismo e pluralismo, quest’ultimo da non confondere con quello della rete, basato cioè su forme di libertà incontrollata, ma su un’editoria in grado di garantire una giusta informazione e uno spazio condiviso a una pluralità di voci. Infine non va dimenticato il mantenimento di un rapporto con la rete che si basi su una distribuzione dei contenuti tanto più accessibili quanto più connotati dalla cultura della verifica e dell’autorità della fonte.
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