Le anti - regole per “educare alla felicità”

Il parere dello psichiatra Raffaele Morelli

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Avendo con tristezza appreso, la scorsa settimana, della chiusura imminente della libreria di una mia cara amica e della sua volontà di vendere sottocosto i libri presenti in magazzino, ho voluto anch’io fare la mia parte. Aggirandomi tra gli scaffali del negozio sono stata attratta, per deformazione professionale, dal titolo alquanto “rivoluzionario” di un testo, “Crescerli senza educarli”, nel quale l’autore, il noto psichiatra Raffaele Morelli, provocatoriamente traccia un vademecum per genitori ansiosi e in balia dei sensi di colpa.

cms_8352/2v.jpg«Si sente spesso dire - afferma - “com’è difficile il mestiere di genitori…”. È proprio questo il punto: non è un mestiere e la cosa davvero difficile è abbandonare il progetto che ci siamo messi in mente, l’idea malata che dobbiamo fare il meglio per loro, o quello che crediamo sia il meglio, per fare di loro dei bravi burattini, uno uguale all’altro. Così ci diamo compiti senza senso, che cerchiamo di svolgere ad ogni costo».

E quindi elenca una serie di luoghi comuni sull’educazione, da sfatare per preservare l’unicità dei propri figli e per metterli al riparo dal rischio di omologazione.

Il focus è prevalentemente sui genitori, ma non esclusivamente su di essi, dal momento che sono coinvolte tutte le istituzioni educative per eccellenza, la scuola in primis.

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Partiamo dal primo “mito da sfatare”: è sbagliato pensare, secondo lo psichiatra, che un buon padre debba giocare con i propri figli. Questa affermazione, detta così, risulterebbe impopolare se non argomentata con inconfutabili principi.

Morelli si riferisce ai padri che tornano a casa la sera pieni di sensi di colpa per non aver visto i figli tutto il giorno e che si mettono a giocare con loro anche se non ne hanno voglia.

«Non è vero. - afferma - Nessun adulto sarà mai un buon compagno di gioco per un bambino. I piccoli giocano meglio tra loro o da soli. Un padre che gioca col figlio non aggiunge nulla alla sua creatività, fantasia, spontaneità. Semmai porta regole, ordine, noia».

Il gioco, in realtà, è il luogo del senza tempo, dove il piccolo si rifugia per costruire nuovi spazi e per dar voce all’esigenza di liberare la propria fantasia e immaginazione. Di questa dimensione egli è gelosissimo: un adulto non capirebbe, poiché strutturalmente non è in grado di muoversi in questi ambiti che da tempo ha abbandonato…

Altro luogo comune: la solitudine rende introversi, è opportuno impegnarli in mille attività pomeridiane, culturali, ludiche o sportive che esse siano. Sbagliato!

«Siamo noi adulti - scrive - a temere la solitudine, e quindi a cercare di far sì che i nostri bambini la evitino. Ma così facendo trasmettiamo loro che stare da soli non è una bella cosa».

Anche il silenzio dei nostri figli non deve spaventarci e non deve generare in noi inutili sensi di colpa: nel caso dell’adolescenza, è un fenomeno molto frequente, una questione di privacy, che deve essere assolutamente rispettata. È sbagliato ingigantire la cosa, ritenere che necessariamente debba esserci un problema e, men che meno, delegare altre persone al fine di “estorcere confessioni”.

cms_8352/4.jpgTalvolta ci sembra che i ragazzi abbiano la “testa tra le nuvole”,e pensiamo che questo atteggiamento sia dannoso. Anche in questo caso abbiamo torto. “Cosa sarà di lui, se vive solo di sogni?” è l’interrogativo più frequente del genitore in ansia. Questo tuttavia è un utile esercizio di immaginazione: inconsapevolmente il fanciullo sta prefigurandosi, lasciando spazio alla fantasia, il suo futuro. È una sorta di epoché, finalizzataa far chiarezza sul presente e su quel che intende fare “da grande”.

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Altro stereotipo stigmatizzato da Morelli, la “famiglia del Mulino Bianco”: «Guai a idealizzare la famiglia “perfetta” dove non si litiga, non si perde la pazienza, dove i genitori danno sempre il buon esempio… Si tratta di un modello irrealizzabile e a lungo andare controproducente. Meglio, molto meglio, puntare sulla spontaneità. Ogni genitore è quello che è, con il suo carattere e i suoi limiti: non può arrivare a far tutto, ha momenti di nervosismo, di stanchezza… Quando un padre e una madre sono naturali trasmettono ai propri figli un modo “sano” di affrontare la vita».

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Altro errore da evitare, secondo l’autore, consiste nell’ingabbiare i ragazzi nello stereotipo dell’alunno modello, considerando negativamente anche il minimo insuccesso in ambito scolastico e ignorando le preferenze relative a questa o quella materia e/o attività curricolare: «In ultima analisi, - afferma Morelli - come scrive Carl Gustav Jung, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo la vita è sprecata. Per questo l’unica cosa da fare è lasciare campo libero all’essenza, al Daimon (Destino, ndr) presente in ogni bambino. L’esempio di alcuni personaggi famosi (che sono diventati tali nonostante un non brillante percorso scolastico, ndr) ci aiuta a comprendere come, a volte, l’affacciarsi del daimon segue un percorso accidentato. Ma così è la vita, dobbiamo solo evitare di fare resistenza e di frapporre ulteriori ostacoli alla crescita naturale dei figli».

Siamo naturalmente liberi di condividere o meno il pensiero che Morelli esprime nel suo libro (sarebbe troppo lungo esporre gli altri luoghi comuni da sfatare in esso trattati, se non in un prossimo articolo…), tuttavia non possiamo prescindere da una grande verità: non esiste il manuale del bravo genitore, semplicemente perché ogni figlio è unico e irripetibile, ed uniche e irripetibili sono le sue esigenze.

«La migliore educazione - conclude l’autore - è quella che trova spazio per la luce e per l’ombra, dove non si recita un copione prestabilito e dove ogni giorno si impara a vivere, tutti, genitori e figli».

Lucia D’Amore

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