Le spigolature economiche della settimana

Sei cose da tenere d’occhio

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La recessione dell’Italia e il suo progetto di crescita

cms_6529/2.jpgIl peggio per le banche italiane è “alle nostre spalle”. A dirlo è stato Pier Carlo Padoan, specificando che la crescita si consoliderà nei prossimi anni, per effetto delle riforme. Se si guarda al futuro, appare evidente come l’impegno ad effettuare un cammino congiunto con Germania e Francia lasci ben sperare.

Intervenire in sostegno delle banche, evitando il bail in di quelle venete “non significa salvare i banchieri, ma i risparmiatori – ha sostenuto il ministro dell’Economia – Ci sono casi di cattiva gestione. Ciò che si sta facendo è trovare soluzioni”.

Da Bologna, dove si è tenuta l’iniziativa “Repubblica delle Idee”, ha sottolineato che un’incontro “per stabilire i punti di un’agenda su politiche comuni” ci sarà. Soprattutto in vista della riduzione del quantitative easing che segnerà l’uscita dalla fase di recessione.

Il ministro la colloca tra “pochi anni”e si dice ottimista perché “siamo un grande paese”.

La recessione è la condizione macroeconomica in cui i livelli del Pil sono più bassi rispetto alle attese o comunque al pieno utilizzo di tutti i fattori produttivi a disposizione. In questa fase manca l’efficienza, imputabile in primis all’assenza di innovazione, a un sistema vecchio che necessita di essere implementato e snellito.

È per tale ragione che Padoan spinge sulle riforme, ponendo in particolare l’accento su quella della P.A. “un cambiamento strutturale che dà impulso a tutte le altre riforme”.

Le conseguenze della recessione, l’Italia le ha ben sperimentate, assistendo all’aumento della disoccupazione, al rallentamento della produttività, al calo dei consumi e all’accesso al credito. La politica di contenimento dei tassi d’interesse condotta da Mario Draghi, ha evitato la conclamazione di un’ulteriore abbassamento del livello di produzione, con conseguente incremento del tasso di disoccupazione e del drastico calo della domanda di beni e servizi da parte dei consumatori, cosa che avrebbe condotto a una vera e propria depressione.

Se l’Europa coopererà in questa fase, sostenendo il percorso dell’innovazione, allora sarà possibile sperimentare presto quella che in economia è la fase che segna il suo superamento: la rinascita.

Quel debito pubblico sempre in agguato

cms_6529/3.jpgCome ha ammesso lo stesso Padoan a Bologna, il debito pubblico italiano è alto. Lo scorso aprile si attestava a 2.270,4 miliardi di euro.

Escludendo il 2009, negli ultimi venti anni, l’Italia ha sempre registrato una differenza positiva tra entrate fiscali e spesa pubblica, ma il carico degli interessi che il Tesoro paga ogni anno sul debito, ha trasformato il saldo in negativo, producendo un deficit che ogni anno va ad aggiungersi al debito precedente. L’indicatore con cui si valuta lo stato di salute di un paese è il rapporto tra debito e Pil nominale.

L’ultimo Def ha previsto per il 2018 una crescita dell’1% che si manterrà stabile nel 2019 per poi vedere “un’impennata verso l’alto nel 2020”. Il debito dal 132,6% del 2016 scende dello 0,1 nell’anno in corso e si attesterà al 128,2% nel 2019.

Il saldo primario, la differenza cioè tra le entrate e le uscite, migliorerà di 0,2 punti percentuali per l’anno in corso, raggiungendo l’1,7% per arrivare a 2,4% nel 2018 e al 3,2% nel 2019.

In conto c’è anche un netto calo della spesa per interessi, dovuta alla riduzione dei rendimenti che sfiora lo zero, per effetto del massiccio acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce, il quantitative easing per l’appunto. Dal 4,2% di spesa per interessi nel 2015, arriveremo al 3,4% nel 2019.

Se le previsioni sembrano incoraggianti, lo scenario non è sgombero dalle preoccupazioni di molti economisti che temono un incremento dei tassi a lungo termine. Ciò inficerebbe i tagli alla spesa. La questione del debito pubblico è purtroppo antica. È sempre bene considerare come in economia le scelte di una determinata politica rivelino effetti a lungo termine, anche se ora gli sforzi devono concentrarsi sull’uscita da questo stato.

L’esperienza Monti che introdusse tasse per oltre il 5% del Pil, portò alla conclamazione della recessione tra il 2012 e il 2013. Il governo Renzi, pur non essendo riuscito a fare molto in termini di spesa, ha bloccato l’aumento delle imposte a livello centrale.

Del resto per ridurre il debito non esistono bacchette magiche e i passi da compiere sono necessariamente relegati a un taglio della spesa pubblica e a un incremento della tassazione. Ma aumentare la pressione fiscale, ad oggi, stroncherebbe le gambe alla ripresa. E per diminuirla, occorre una gestione accurata degli attivi da convogliarsi in investimenti mirati.

Da un lato percorrere la strada a cui Mario Draghi ha fatto menzione in più di un’occasione: incidere sui tagli selettivi di importo consistente per ridurre anche la spesa per interessi. Dall’altro, valutare l’ipotesi di investimento di parte degli attivi in società veicolo con la conseguente emissione di titoli obbligazionari convertibili in azioni, non sarebbe una cattiva strada. Sicuramente non facile perché occorrerebbe reperire sul mercato investitori disponibili a ritrovarsi in mano azioni. Ma chissà che il Governo non ci stia già lavorando.

Le imprese crescono, malgrado tutto

cms_6529/4.jpgIn Italia stanno nascendo più imprese e ne falliscono di meno. È quanto l’Adnkronos ha elaborato sulla base dei dati ricavati da Infocamere. Da gennaio ad aprile 2017 sono nate 146mila aziende e l’anno potrebbe chiudersi a quota 438mila. Un segnale importante se si considera che nel 2016 le nuove imprese sono state 363mila.

Il 2016 in verità, non era andato male, registrando un incremento dello 0,7% rispetto al 2015, grazie agli under 35 che si sono riversati nel mercato imprenditoriale. Più turismo, con una crescita di bed and breakfast, case ed appartamenti per vacanze per una percentuale complessiva di +15,92; più settore commerciale con un aumento di circa 6.200 imprese e attività professionali che hanno registrato un +4.150 attività. In testa quelle di consulenza aziendale cresciute del 5,69%. Ottimo anno per i servizi alla persona con +3.283 imprese, in primi fra tutti parrucchieri ed estetisti, cui sono seguiti i tatuatori, cresciuti del 23,25%.

Non è andata male nemmeno per il comparto noleggio che a fine 2016 ha contato 7.416 aziende in più.

Buon bilancio anche per le attività di supporto alle funzioni di ufficio- call center, recupero crediti e copiatura – che hanno registrato un incremento del +5,51%.

Meno imprese edili e manifatturiere.

Rispetto al Centro e al Nord Ovest che hanno rispettivamente registrato incrementi per +13.386 e +6.255, il Sud è cresciuto per 22.918. Il Nord Est ha chiuso invece in negativo con -0,1%.

Il dato, se da un lato è incoraggiante, dall’altro fotografa un’Italia giovane che ripiega sull’imprenditoria, essendo calata la domanda di lavoro da parte delle grandi aziende.

Il tessuto aziendale nazionale si conferma così retto dalla piccola e media impresa.

Da Faenza una start up per le ossa

cms_6529/5.jpgNuove soluzioni per curare gravi malattie ossee arrivano dalla Green Bone di Faenza, che ha raccolto un round di investimento pari a 8,4 milioni. Guidato da Helsinn Investment Fund, vi partecipano anche Invitalia Ventures, Innogest e Italian Angels for Growth.

Fondata nel 2014 e guidata dall’ad Lorenzo Pradella, ha sviluppato impianti ossei brevettati che derivano dal legno e altri materiali naturali capaci di sopperire alla perdita di grandi porzioni di ossa lunghe a seguito di eventi traumatici.

L’elevato grado di biocompatibilità permette all’organismo di riconoscere l’impianto come proprio, osteointegrandolo progressivamente, evitando qualsiasi forma di rigetto.

L’idea è venuta da un team di ricercatori dell’Istituto di Scienze e tecnologia dei materiali del Cnr di Faenza, guidato da Anna Tampieri. L’azienda conta di completare gli studi clinici entro il 2019, certificare col marchio comunitario i propri prodotti e svolgere studi pre-clinici in ambito ortopedico.

cms_6529/6.jpgL’anticipo pensionistico previsto per le persone di 63 anni, rientranti nelle categorie socialmente deboli, si chiama “Ape Social” e dal suo ingresso lo scorso sabato, ha già registrato oltre 300 domande. Ma chi può farne richiesta? Lo chiarisce la circolare n. 100 del 16 giugno 2017 pubblicata dall’Inps. I soggetti beneficiari, almeno 63enni e con 30 anni di anzianità contributiva, devono essere disoccupati, e non percepire l’indennità da almeno tre mesi. La cessazione del rapporto di lavoro deve essere avvenuta per licenziamento, dimissioni per giusta causa, risoluzione consensuale. Può richiederla chi da almeno sei mesi presta assistenza al coniuge, alla persona unita civilmente o a un parente di primo grado convivente con handicap e versante in situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Anche i lavoratori con una riduzione della capacità lavorativa per almeno il 74% o i lavoratori dipendenti che svolgono o abbiano svolto in Italia, da almeno sei anni in via continuativa, una o più attività lavorative gravose, possono inoltrare domanda. Per quest’ultima categoria è necessaria un’anzianità contributiva di almeno 36 anni. Chi beneficia dell’Ape può svolgere piccole attività, in Italia o all’estero, purché il reddito da esse derivanti non superi gli 8.000 euro lordi annui in caso di lavoro dipendente e i 4.800 euro lordi annui in caso di attività autonoma. Qualora i limiti fossero superati, il soggetto decadrebbe dall’Ape sociale, l’indennità percepita diverrebbe indebita e l’Inps procederebbe al suo recupero.

Lezioni di economia: dal liberismo al liberalismo

cms_6529/7.jpgIl liberismo è quella teoria economica, filosofica e politica, fautrice della libera iniziativa e del libero mercato, con la limitazione dello Stato agli interventi strettamente necessari e propedeutici all’economia. Il liberalismo è l’applicazione in ambito economico delle idee liberali, basato sull’assioma “democrazia vuol dire libertà economica”, di Friedrich von Hayek.

La filosofia è antitetica rispetto alle idee del socialismo ed è orientata al sistema capitalistico. Se nella lingua italiana, i termini liberismo e liberalismo assumono significati diversi - teoria economica il primo e ideologia politica il secondo – in quella inglese tendono a sovrapporsi nel concetto di liberalism. Nella tradizione politica statunitense, il termine liberal indica un liberalismo progressista, attento alle questioni sociali, ma nel contempo custode del rispetto dei diritti individuali.

Il concetto di liberismo, tratteggiato durante l’Illuminismo e nel suo contenitore “fisiocratico”, si espresse nelle idee di Adam Smith, padre dell’economia politica e di Richard Cobden, fautore del libero commercio e nemico di ogni forma di nazionalismo coloniale.

Quale insieme di dottrine definite compiutamente in epoca contemporanea, oltre a porre precisi limiti all’intervento dello Stato, mira ad esaltare le espressioni delle varietà e singolarità umane, secondo il principio di “riconoscimento delle libertà individuali e politiche” venuto a delinearsi nel 1801 sulla base delle dottrine giusnaturalistiche di John Locke e David Hume.

Insieme alla democrazia moderna, è considerato una filiazione del Secolo dei Lumi, ispirandosi agli ideali di tolleranza, libertà ed eguaglianza.

Silvia Girotti

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