Lo Specchio Emotivo nella Mediazione

Usi e abusi delle metodiche psicologiche utilizzate nella mediazione dei conflitti

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Alcune università italiane dal 2010 hanno aperto le proprie porte a quella che viene riconosciuta “mediazione dei conflitti” con l’intento di snellire l’ingolfamento delle aule di giustizia, esonerando in gran parte i giudici dalle proprie funzioni, e consentendo una nuova prospettiva di lavoro alternativo per giovani giuristi che troverebbero una difficoltà emergente nell’inserimento professionale forense.

La evidente difficoltà nell’inserimento lavorativo è deducibile dalla grave crisi del mondo giuridico in Italia dove sempre più avvocati hanno lasciato la toga, tanto che nel 2016 oltre 4.700 si sono cancellati dalla cassa forense e questo numero è andato verso una crescita esponenziale.

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In Italia al 1° gennaio 2018 si registravano 242mila avvocati regolarmente residenti in Italia, quindicirca un avvocato ogni 250 abitanti; una professione che non ha più “appeal”, innanzi tutto per i guadagni scarsi, con un reddito medio di 38.437 euro l’anno. Secondo il Presidente di Cassa Forense, Nunzio Luciano, a breve i legali italiani saranno non più di 100mila, al massimo 120mila e secondo tale analisi la cancellazione degli avvocati dall’albo nasconderebbe un problema di fondo: “la professione è oggi inadeguata se intesa in senso tradizionale e, quindi, ancorata a vecchi retaggi”. Gli avvocati nelle prospettive future si proiettano sulla consulenza più che sull’assistenza in senso stretto, in quanto non tutte le richieste di cittadini e imprese passerebbero poi di fatto nelle aule dei tribunali quindi l’avvocato non opererebbe più in ambito esclusivamente giurisdizionale.

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E’ proprio in questo cambiamento vissuto nel mondo giuridico in Italia che, dal 2010, ha iniziato a far capolino la mediazione che rappresenta un procedimento stragiudiziale di risoluzione delle controversie.

Rappresenta uno strumento di alternative “dispute resolution”, dove il mediatore dei conflitti, che si tratti di un mediatore familiare, un mediatore penale o un mediatore in altri ambi relazionali e sociali , si propone come specchio emotivo di ciascuno degli attori del conflitto, maanche lo stesso mediatore si trova davanti ad uno specchio emotivo.

Il tutto sinteticamente si basa sull’ascolto delle persone e, in particolare, sull’accoglienza delle loro emozioni e dei loro sentimenti, spesso con il ricorso al cosiddetto “rispecchiamento”.

Quello che viene applicato è il modelloAscolto e Mediazione.

Con il Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante “Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” il legislatore ha pensato di ridurre il carico di lavoro gravante sugli uffici giudiziari, pertanto il mediatore avrebbe acquisito le competenze che dovrebbero invece essere di psicologi ed analisti; infatti nel modello Ascolto e Mediazione Il mediatore è inesorabilmente davanti ad uno specchio emotivo, soprattutto, quando impiega alcuni particolari modelli di mediazione. L’ascolto empatico, nella prospettiva di tale mediazione, non significa cercare una soluzione, tanto meno di voler “guarire” l’altro dalla sua emozione. Ascoltare un altro essere umano non vorrebbe dire sollecitarlo ad accantonare la sua rabbia o tentare di fare ridimensionare la sua sofferenza, ma significherebbe, invece, aiutarlo ad affrontare la sua rabbia o la sua sofferenza, comunicandogli che non è solo, che esisterebbe la disponibilità ad avvicinarsi ai suoi stati d’animo, senza censure e giudizi. Una metodica d’aiuto, quella del rispecchiamento, utile e corretta se utilizzata da psicologi e psicoterapisti, ma in questo caso viene affidata a giuristi che apprendono tali strumenti in corsi universitari dove gli stessi si formano studiando e applicando le conoscenze fornite dai testi di Philippe Turchet , uno dei massimi esperti del “linguaggio universale del corpo”. Il giurista mediatore vuole pertanto comprendere chi ha di fronte attraverso l’osservazione della gestualità e la decodificazione del linguaggio delle emozioni che hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita di esseri umani e sono all’origine di tutte le nostre decisioni, ma sono spesso ignorate dalla scienza tradizionale. Pertanto il linguaggio del corpo e il linguaggio non verbale si integrerebbero tra di loro: una vera dottrina nella psicologia emozionale utilizzata nell’ambito giuridico.

cms_17766/4v.jpgOgni strumento, come in medicina, utilizzato per il bene e per la cura del paziente, potrebbe diventare causa di danno e di morte se affidato a mani criminali o inesperte.

Alberto Quattrocolo (Presidente dell’ Associazione Me.Dia.Re.), riporta : “Lo strumento che il mediatore utilizza … è quello del cd. “specchio”. Attraverso tale tecnica il mediatore avvia un lavoro che si basa sui sentimenti e che si fonda sull’empatia: egli in primo luogo ascolta il soggetto e successivamente si rivolge a lui cercando di rinviare ciò che, a livello di sentito, cioè di sentimenti, ha percepito. (…) Successivamente riparte proprio da quest’espressione, da ciò che ha ricevuto e percepito nuovamente attraverso la relazione empatica e rinvia altri sentiti, in un meccanismo di ‘rimbalzo’, di restituzione continua alla parte delle emozioni che emergono dalla sua narrazione, consentendo al soggetto di andare oltre, fino al centro e all’origine della sua sofferenza». Il modello di Ascolto e Mediazione fa ampiamente ricorso allo specchio emotivo e ciò costituisce uno dei suoi “meriti”. Anzi, pensiamo che ne abbia diversi. Altrimenti non lo impiegheremmo da ormai quasi vent’anni. Anche tale modello presenta, però, delle criticità.

cms_17766/5v.jpgLa principale criticità, forse, consiste nell’assenza di certezze, di basi incrollabili, anche di tipo teorico, su cui appoggiarsi”.

Quello della mediazione vorrebbe rappresentare pertanto un percorso, un procedimento finalizzato a raggiungere un accordo amichevole per la risoluzione o composizione di una lite, col raggiungimento di un accordo conciliativo.

I giuristi che seguono questo percorso formativo si rifanno alla teoria della psicoanalista austriaca Melanie Klein, all’anagrafe Melanie Reizes (Vienna, 30 marzo 1882 – Londra, 22 settembre 1960), nota per i suoi lavori pionieristici nel campo della psicoanalisi infantile e per i contributi allo sviluppo della teoria delle relazioni oggettuali. Considerando i principi formativi se ne deduce che la mediazione ha una componente che nulla ha a che vedere con le scienze giuridiche: il percorso mediatizio è volto a tentare di risolvere la singola lite oggetto del procedimento non in base al diritto, ma tramite strumenti afferenti ad altri campi, in particolare afferenti alle scienze psicosociali. Questo rappresenterebbe il vero cuore della mediazione, della sua natura, della sua logica di fondo.

Sorge quindi il dubbio quale possa essere il limite tra il lecito e l’illecito nell’affidamento di pratiche comportamentali che sono proprie della psicologia e della psicoterapia, a laureati in materie giuridiche che hanno un percorso di studi ben diverso da quelli medico/psicologici, con l’applicazione di metodiche prettamente psicologiche sulla gestione dei conflitti. I riferimenti agli insegnamenti dello psicologo statunitense Carl Ramson Rogers (Oak Park, 8 gennaio 1902 – La Jolla, 4 febbraio 1987) fondatore della terapia non direttiva e noto per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia all’interno della corrente umanistica della psicologia, trovano spazio nelle scuole italiane di mediazione.

Non è detto però che il mediatore che adotti il modello Ascolto e Mediazione si muova guidato dall’improvvisazione, certamente si basa su esperienze acquisite in sede formativa sul conflitto e sulle sue dinamiche, nonché sulle riflessioni elaborate circa l’efficacia di particolari strumenti d’intervento, che sono stati modellati proprio sulle peculiarità delle interazioni conflittuali. La formazione per mediatori vede la partecipazione di studenti delle facoltà giuridiche, già dal secondo e terzo anno, che apprendono metodiche psicologiche e psicoterapeutiche che vengono utilizzate nelle gestioni dei conflitti basando la propria forza sulla gestione della psiche della controparte, ignorando in gran parte le norme giuridiche rispettate in un processo.

La loro peculiarità nell’apprendimento di strumenti psicologici, non certamente impiegati a scopo terapeutico, potrebbero però indurre facilmente all’esacerbazione di un conflitto, in assenza di un giudice, sottoponendo ad una violenta pressione emotiva la controparte, inducendola a cedere e ad accettare pertanto le proprie condizioni.

Una “mediazione malata “dove vengono pertanto utilizzate tecniche di manipolazione della mente, già conosciute nella psicologia e nella psicoterapia che, se gestite ed applicate da laureati in materie giuridiche, eludendo le norme del codice, potrebbe facilmente deviare verso reati, poiché agirebbe con metodi persuasivi sulla psiche dell’individuo quale parte soccombente.

La mediazione, nata per la risoluzione pacifica dei conflitti, affidata invece nelle mani di soggetti che potrebbero non rispettare il rigore di alcun codice deontologico, in assenza del giudice, potrebbe diventare un mezzo per la manipolazione della mente, derivato dalle metodiche psicologiche e psicoterapeutiche gestite invece da laureati in materie giuridiche.

Dal rispetto delle leggi al crimine il passo è breve.

Massimo Montinari

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