Lo sport che discrimina le donne
La triste storia di Alysia, costretta a correre con il pancione
Slogan, manifestazioni internazionali, proteste: tutto questo è stato finora volto a sensibilizzare e promuovere la figura della donna. Purtroppo, il concretizzarsi di queste proposte sembra però di difficile attuazione, soprattutto alla luce degli ultimi casi che la cronaca tristemente ci regala.
A farne le spese è stavolta l’atleta Alysia Montano (33 anni), costretta a correre anche in gravidanza avanzata. La fabbrica dello sport garantisce palesemente solo gli uomini, mentre una donna che desidera avere un figlio può rischiare di perdere carriera e lo sponsor.
Proprio lo sponsor è l’oggetto della denuncia sporta dall’atleta afroamericana. Lei stessa ricorda a tutti la campagna promozionale della Nike, che esorta: “Just do it”, fallo e basta. Ma, quando ha espresso il desiderio di avere un figlio, i quattro manager (tutti uomini) hanno manifestato il loro totale disappunto minacciando: "Fallo e noi blocchiamo il tuo contratto". Alysia però, incurante dei limiti imposti dallo sponsor, decide di dar luce a due bambini, Linnea (4 anni) e Astor (1 anno).
Non è stato facile per lei, perché lo stesso sponsor riduce i compensi per le donne in gravidanza. Pertanto, ha deciso di correre con il pancione, cercando di qualificarsi ai primi posti per potersi garantire un sostentamento, svelando quanto sia difficile e ingiusto dover scegliere tra la maternità e lo stipendio. L’inchiesta svelata dal New York Times ha evidenziato che, negli accordi sottoscritti nel campo dell’atletica leggera, la Nike "si riserva il diritto di ridurre la retribuzione degli atleti, maschi e femmine, per qualsiasi motivo".
La storia della Montano viene confermata da altre atlete che hanno deciso di testimoniare ai microfoni del quotidiano.
Phoebe Wright, specialista negli 800 metri, ricorda nuovamente l’incoerenza dell’azienda. Nelle sue dichiarazioni si evince tutta l’amarezza per la condizione delle donne nello sport: "Rimanere incinta è il bacio della morte per una donna atleta", sostiene. Parole che fanno eco ad un’altra atleta, Kara Goucher, specialista nei 10mila che vanta la partecipazione alle olimpiadi di Pechino e Londra. Anche in questo caso, la Nike ha deciso di non sostenere la gravidanza attendendo la ripresa dell’attività agonistica.
Venendo a conoscenza di queste vicende si alternano sentimenti contrastanti. In ogni caso, sicuramente ci auguriamo di non dover leggere più storie del genere.
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