L’ASSALTO DEL SERAFINO
Il peccato originale è l’atto di nascita della parola umana (Walter Benjamin)
La poesia libera o fagocita, ma lasciando sempre insoddisfatti; vince o perde con la bellezza, ma pur sempre lascia sul campo una sconfitta interiore: l’indicibile non è stato raggiunto! Ma è proprio tale sconfitta, questo sentimento di inadeguatezza ed inappagamento che spinge a scrivere ancora, a tentare un’altra volta la titanica impresa, a rinascere spiritualmente, a riprendere fiato, a riarmarsi per dare l’assalto finale al bastione del non dicibile.
Il poeta se ne infischia -deve- che la sua meta sia l’impossibile, umanamente impossibile. Il poeta sogna, sogna di raggiungere il linguaggio dei babelici prima dell’intervento divino! Sogno, il suo, non certo da poco. Egli deve prendere possesso di ciò che appare come un deserto e che, invece, è un terreno fertile dove possono nascere e spuntare infiorescenze meravigliose, vegetazioni strabilianti. Il suo traguardo è dire quel che non sembra possibile dire, ma che va assolutamente detto: il filo di lana è fare luce sul buio!
Il poeta non crede che alla Parola possa o debba essere vietato alcunché: al Detto nulla deve essere interdetto! Che sia, questa indicibilità, il campo dell’emozione, del suo cristallo prismatico? E perché l’emozione è relegata ed ingabbiata nell’inesprimibile? Quale legge l’impone? E se fosse, al contrario, il linguaggio ad essere inadeguato, simile ad una chiave falsa o sbagliata o spezzata? E se fosse una scala troppo corta, un attrezzo inservibile, un’arma scarica?
La bocca della pistola o l’indice inquisitorio il poeta li punta immancabilmente contro se stesso. La sua pietà è solo per gli altri, mai ne conserva un briciolo per sé: per quale ragione? Credo che il motivo principale sia la lucidità.
Il poeta deve mantenere la propria lucidità per mantenersi distante dalle cose, per conservare la sua neutralità nella visione del mondo. Il poeta non scatta fotografie, ma effettua radiografie. Il poeta si percepisce come una cavia; si viviseziona, si sottopone ad esame autoptico per svelare la causa della sofferenza di tutti, la malattia che ci rende degenti nella vita.
Il poeta è, sicuramente, uno degli ultimi artigiani; il poeta medita e concepisce ma, insieme a questo, il poeta fa, agisce sulla materia… e poco importa se la materia che ha per le mani e sulla quale agisce sia “inconsistente” per sua implicita natura, cioè la scrittura.
Resta il fatto che il verso ha necessità di essere certosinamente cesellato, proprio come un materiale prezioso: il verso è oro, il verso è diamante! Sta alla bravura, sta al mestiere di chi lo ama farne o meno un piccolo capolavoro alla Cellini!
Io, nel mio piccolo, sono uno di quelli, un appartato, un poeta artigiano che, chiuso nella sua bottega ovattata, ama il proprio lavoro col quale intende appassionatamente dispensare bellezza; e, si sa, chi dispensa bellezza dispensa qualcosa di cui la società ha estremo bisogno, soprattutto in quest’epoca di confusione e sbando: egli dispensa speranza ed amore, appunto. Il mondo può ancora essere salvato.
Poesia è restituire alle parole la loro musicalità perduta. Guardare con altri occhi, con occhi diversi, il proprio linguaggio quotidiano e ritrovarvi un’età dell’oro allorquando esso era senso, onore, eroismo e gloria. Attenzione, però, non ho parlato di centralità delle parole, ma soltanto di musicalità. Perché le parole, checché se ne dica, la centralità la possiedono già; le parole, oggi, non hanno perduto di significato… il loro significato lo hanno visto indebolire o travisare dalla progressione tecnologica, da una velocità egemone e peculiare che tutto sorpassa e sminuisce, che tutto supera e fiacca.
Se perdiamo le parole torniamo animali; esse sono i ponti che ci collegano agli altri… e se perdiamo il contatto con gli altri lo perdiamo con noi stessi.
La Poesia dev’essere etica, tutta l’Arte deve esserlo. Deve dimostrare e provare in primis cos’è l’Uomo, le sue potenzialità, ciò che è capace di essere e fare, le grandezze che può raggiungere. Anche se il tema utilizzato è l’amore, l’amore per un’altra persona, l’argomento va utilizzato in maniera assoluta e non particolare; nel senso generico e mai specifico di una singolarità. Non credo abbia molti detrattori la poesia d’amore d’ogni tempo; può averne la forma di come esplicita il sentimento, non la sostanza che, come afferma Morin, continua ad essere la via nobile alla Poesia.
Unica l’interiorità, unico lo spirito, unico il cuore del genere umano… solo un’infinita varietà di combinazioni tutte necessarie, non tutte apprezzabili. In fondo, tutta la poesia, da Saffo in poi, non è che un delirio di presenza desiderata, instancabilmente ambìta, cercata ma sempre fallita, imprendibile, non realizzabile; una sorta di incorrispondenza fisica, temporale e contingente più che di cuore. Probabilmente, questo leit-motiv di tutta la poesia di ogni tempo è una metafora del nostro rapporto con Dio.
Aristotele asserisce che Dio è sempre oggetto di amore, mai soggetto. E chissà se, come ho scritto sopra, tutto il cantare dei poeti e tutto il loro affanno non siano un cantare ed un affanno miranti a descrivere il rapporto dell’Uomo con la divinità, questo oggetto d’amore distante, silenzioso, inafferrabile; questo oggetto d’amore che dovrebbe amarci a sua volta, ma che in realtà non dà segni tangibili per dimostrare tale amore per noi il quale, pertanto, rimane presunto e tutto da dimostrare.
Le mie ultime produzioni sono anche questo: una sorta di visione teologia della carne! In conclusione: può essere tale la volontà tutta umana nel voler spiegare qualcosa che spiegare non si può per la sua insita complessità inumana di cui si diceva all’inizio? Forse.
Può essere che la volontà di cui sopra non basti, da sola, a lacerare il velo della fitta ed insondabile oscurità che avvolge l’universo, ma che servirebbe un lingua nuova, una grammatica nuova, una sintassi nuova, una nuova fonetica e persino una voce nuova per riuscire nell’alto intento.
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