L’Arabia Saudita vuole trasformare il Qatar in un’isola

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Sono trascorsi esattamente dieci mesi da quando il governo saudita ha varato aspre sanzioni contro lo stato del Qatar, colpevole a loro dire di finanziare numerosi gruppi terroristici. Eppure, la tensione tra i due Paesi arabi non sembra affatto essersi allentata, anzi: una recente rivelazione apre oggi un nuovo capitolo nell’ambito dei rapporti diplomatici fra l’Arabia Saudita e il Qatar. L’unione saudita degli investitori, un’organizzazione composta da soli nove membri (tutti rigorosamente miliardari), avrebbe di recente programmato la realizzazione di un enorme canale marittimo finalizzato ad isolare i confini qatarioti dal resto della penisola araba.

Stando alle intenzioni iniziali, il canale sarà largo 200 metri e profondo circa 18, di conseguenza risulterà navigabile sia per le navi turistiche che per le petroliere. Sorgerà a circa un chilometro di distanza dalla frontiera con l’Arabia Saudita (l’unica frontiera terrestre di cui disponga il Paese) e avrà un impatto ambientale di cui al momento non è stato rivelato alcun dettaglio.

cms_8902/2v.jpgI tempi per la realizzazione? Molto brevi: si parla di non oltre un anno, un periodo brevissimo per un’opera così imponente, specialmente se pensiamo ai tempi biblici dei lavori pubblici a cui siamo abituati in Italia. Com’è facile intuire, i costi per la realizzazione saranno significativi: si parla di quasi 3 miliardi di Rihal, l’equivalente di 750 milioni di dollari. Eppure, tali spese saranno in gran parte coperte dalle opportunità commerciali che tale canale offrirà: secondo Pars today, il progetto prevedrà la costruzione di lussuosi hotel situati proprio a ridosso della costa, la creazione di alcune spiagge private e perfino la nascita di due compagnie di crociera per permettere ai turisti di esplorare il golfo persico. Al tutto si aggiungerà, ovviamente, anche un ingente servizio finalizzato a vigilare e proteggere le coste nazionali: in fondo, a cosa serve una frontiera se non si è in grado di difenderla?

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Ad ogni modo, il progetto non potrà avere inizio prima dell’approvazione da parte del governo saudita. Negli ultimi giorni, non è trapelato nulla in merito alla volontà in questo senso di Re Salman né di suo figlio Mohammad (secondo molti il vero leader della nazione, dal momento che il padre è ormai anziano e malato). Naturalmente, per quanto i nove petrolieri possano aver disegnato a tavolino ogni dettaglio e per quanto la propria influenza sulla vita politica e civile della nazione non sia discutibile, l’ultima parola spetterà al governo e alle massime autorità monarchiche del Paese.

Indipendentemente da come si evolveranno gli eventi nei prossimi giorni, tuttavia, possiamo fin da subito asserire che le tensioni fra i due Paesi non giovano certo all’equilibrio geopolitico della regione, oltre ovviamente alla stabilità sociale della stessa. Come quasi sempre accade in una guerra, sia essa fisica, commerciale o anche soltanto d’isolamento, a perderci non è una sola delle due parti in causa, ma entrambe. Di conseguenza, sono in molti ad interrogarsi sulle ragioni per cui l’Arabia Saudita ha scelto, negli ultimi mesi, di negare il proprio spazio aereo al Qatar e di promuovere un autentico embargo nei confronti di Doha. La ragione ufficiale, come detto, è legata al terrorismo, ma siamo sicuri che Riyad sia realmente così sensibile a questo tema? Un governo che negli ultimi anni ha venduto gran parte del proprio arsenale militare a nazioni selezionate con enorme flessibilità, può davvero essere il portavoce credibile di una lotta al jihadismo? Non è forse più logico supporre che dietro le ostilità saudite nei confronti del governo qatariota, vi sia in realtà una profonda rivalità commerciale riguardante il petrolio ed altri settori strategici? E ancora, non è forse lecito nutrire il sospetto che le sanzioni dell’Arabia Saudita siano in realtà una strategia, forse neppure troppo velata, per colpire l’Iran (storico alleato del Qatar) e con esso l’intero mondo sciita?

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Difficile far emergere una verità assoluta e incontrovertibile su una faccenda così ambigua; ciò che è certo, è che da parte di tutti gli attori internazionali coinvolti in questa vicenda, al momento, è emersa ben poca chiarezza.

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Non è tuttavia difficile dare un’interpretazione esplicita in merito al desiderio saudita di costruire questo imponente canale. Per comprendere fino in fondo tale progetto, infatti, bisogna prima di tutto rendersi conto del fatto che, se vuole davvero indebolire i propri rivali, Riyad ha oggigiorno la necessità di rincarare la dose, di colpire più duramente, per dirla in termini pugilistici. Le sanzioni degli ultimi mesi non hanno funzionato affatto. L’economia del Qatar continua a prosperare e, benché quest’ultimo Paese sia piccolo e apparentemente debole, le sue risorse finanziarie e i suoi fondi d’investimento all’estero gli permettono di continuare a crescere anche con un numero di partner commerciali inferiori rispetto al passato. Il risultato, in altre parole, è che i sauditi si trovano ad oggi in un ruolo di completo isolamento nella propria crociata contro Doha. I russi, malgrado le tensioni avute con l’emiro Al-Thani quando questi supportò in Siria taluni gruppi contrari ad Assad, sembrano recentemente aver superato qualunque forma d’ostilità nei confronti del governo qatariota. Gli Stati Uniti, nonostante i continui contatti fra Trump e il principe Mohammad (ricordarsi lo storico incontro del 20 maggio scorso) hanno sempre mantenuto una sostanziale neutralità in merito a questo conflitto. La Turchia, dal canto suo, sa bene che il Qatar offre un prezioso e imprescindibile sostegno alla fratellanza musulmana, oltre ad essere uno dei principali investitori in Anatolia. C’è infine l’Iran, il quale non solo ha tutto l’interesse a conservare i propri buoni rapporti con il governo di Al-Thani, ma ha perfino approfittato delle recenti tensioni nel golfo per stipulare una serie di accordi riguardanti la gestione dei giacimenti di gas presenti nella penisola. A tutto questo bisogna poi aggiungere che perfino un Paese come il Bahrein, uno dei pochi alleati dei sauditi, ha in gran parte tradito le aspettative di questi ultimi rimangiandosi la sua promessa di boicottare il commercio qatariota.

cms_8902/6.jpgNaturalmente, siamo tutti profondamente preoccupati dai drammatici conflitti e dalle innumerevoli tensioni alle quali stiamo assistendo. Eppure, dal raffreddamento dei rapporti bilaterali fra Qatar e Arabia Saudita può nascere nel mondo occidentale una considerazione che negli ultimi anni è stata in gran parte trascurata: il teatro arabo è ben più eterogeneo di quanto crediamo. Per quanto elementi come la religione, la cultura e la lingua possano accumunare le nazioni, queste componenti non saranno sufficienti a limare le diversità fra le stesse. Nei Paesi arabi dunque, e più in generale nell’universo islamico, esistono governi propositivi ed altri irresoluti; forze politiche che cercano soluzioni ed altre che cercano di generare problemi. Potenze che, come si è visto, spesso sono addirittura in lotta fra loro. Spesso, al contrario, pensiamo all’islam come a unico blocco compatto di Paesi accomunati da una sola mentalità o da un unico atteggiamento, commettendo un errore e al tempo stesso un’ingenuità che, col tempo, potremmo ritrovarci a pagare a caro prezzo.

Gianmatteo Ercolino

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