L’EPIDEMIA DI PLASTICA STA PER FINIRE?
UN INCIDENTE FORTUNATO APPORTA NUOVI DATI NEL CAMPO DELL’ECOLOGIA
Plastica: una parola che, dal punto di vista chimico, si riferisce ad un gruppo di materie costituite da macromolecole dette "polimeri", cioè una sostanza (di solito a base di carbonio) proliferata tante volte. “Prendi un molecola semplice e la fai reagire con se stessa, di nuovo, di nuovo e di nuovo” spiega Andrea Sella, professore di chimica alla University College London. Ciò che molti non sanno è che si tratta generalmente di materie che possono essere prodotte non solo dai laboratori (come il cosiddetto PET), ma anche dalla natura (ad esempio la cellulosa).
Ai polimeri naturali appartengono anche la cheratina (che si trova, tra altre cose, nei capelli e le unghie), e la resina (come l’ambra). Il loro vantaggio è che sono biodegradabili, e quindi non dannosi per l’ambiente. Cosa succede, invece, con i polimeri sintetici? Quelli di sacchetti, bicchieri, bottiglie, cannucce, cucchiai, guanti, di plastica che vengono buttati ogni giorno e rimangono sul terreno da un minimo di 100 anni ad un massimo di 1000? Il fatto ancora poco conosciuto è che la raccolta differenziata, purtroppo, non serve come una soluzione illimitata ed efficace. Solo una minima parte della plastica buttata viene riciclata (la percentuale oscilla tra 9% e 14%) – o perché gli oggetti sono tanto piccoli (come le confezioni delle caramelle), oppure perché contengono sostanze organiche o nocive (come le siringhe). E diventa sempre peggio: circa 8.000.000 di tonnellate finiscono ogni anno negli oceani, accumulandosi spesso nello stomaco degli animali marini e qualche volta degli uccelli, provocandone la morte.
Per combattere l’“epidemia”, ricercatori della University of Portsmouth hanno provato di studiare la struttura di un enzima che scompone la plastica PET. Questo enzima batterico era stato scoperto circa due anni fa da alcuni ricercatori giapponesi. Durante l’indagine scientifica, gli Inglesi hanno creato (per errore!) una versione migliore dell’enzima, che funziona il 20% più veloce. “Si tratta di un miglioramento modesto”, sostiene l’autore principale John McGeehan, pur sottolineando che ci sono ancora margini di miglioramento rispetto alla versione originale (“Scientists accidentally create mutant enzyme that eats plastic bottles”, The Guardian).
La fortunata scoperta può aprire nuove prospettive nella battaglia verso l’inquinamento della terra e delle falde acquifere.
Intanto, in Inghilterra si solleva la questione sull’uso futuro di cotton fioc, cannucce ed altri oggetti monouso di plastica.
In una consultazione, che si terrà quest’anno, forse si deciderà d’imporre il divieto della produzione e della vendita dei prodotti summenzionati.
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