L’HIMALAYA DELLA DISCORDIA

Aumentano le vittime della contesa tra India e Cina

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Himalaya. Dal sanscrito “dimora delle nevi”, è la catena montuosa più famosa al mondo, che attraversa il Bhutan, la Cina, il Pakistan, il Nepal e l’India. Si estende per ben 2400 chilometri, la cui cima più alta, l’Everest, è alta quasi 8900 metri. E ora è al centro di una violenta contesa tra India e Cina, l’Elefante contro il Dragone. Ma tra i due litiganti… nessuno gode. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’esercito di Delhi, sono più di 20 i soldati indiani morti, tra cui figura anche un colonnello. Non risultano confermate, per ora, vittime cinesi. È il passo che prelude ad una quasi certa rottura totale dei rapporti tra le due superpotenze asiatiche, anche se gli ufficiali delle due parti in causa stanno discutendo in loco per “calmare la situazione”.

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Ci sono diversi aspetti di questa vicenda che destano preoccupazione nell’opinione pubblica. In primis la dimensione dei due Paesi coinvolti: la Cina e l’India sono le nazioni più popolate al mondo, con più di un miliardo e mezzo di abitanti e con armi nucleari a disposizione. In secundis il fatto che i rispettivi leader politici siano tacciati di nazionalsocialismo, e nessuno dei due vuole perdere la reputazione. Dulcis in fundo, c’è da aggiungere che il conflitto non è “limitato” solo alla catena himalayana, ma si estende lungo tutti i 3440 chilometri della frontiera sino-indiana. Come se non bastasse, di recente il presidente statunitense Donald Trump ha proposto di invitare l’India, assieme alla Corea del Sud e all’Australia, a un vertice dal lapalissiano sentore anti-Cina. “Manovra di contenimento” è il termine utilizzato dai tabloid americani.

Lo scontro nel territorio del Ladakh è l’ultimo di una serie di dissapori iniziati nel 1962, quando la breve guerra tra India e Cina ha visto uscire vincitrice quest’ultima. Da quel momento la frontiera è diventata la linea della discordia, dove i due giganti non riescono a trovare un accordo. Eppure, scavando nel passato, i rapporti sono stati quasi sempre al limite dell’idilliaco: non va dimenticato che il buddhismo, in Cina, è stato “importato” proprio dall’India quasi mille anni fa. Però il contesto geopolitico è mutato considerevolmente nel corso del tempo, evolvendo di male in peggio. Come in un litigio tra bambini capricciosi, (soltanto che, in questo caso, il conflitto è su scala internazionale e mina l’incolumità dei civili), ciascuna nazione accusa l’altra di aver oltrepassato il confine.

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Non è bastato l’incontro informale tenutosi lo scorso anno tra il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi. Nel loro meeting i due avevano cercato di ricomporre le relazioni tra i rispettivi Paesi, tentativo fallito e sfociato in violente rivendicazioni. Forse - ma non è assolutamente una fortuna - un “terzo” che “gode” c’è, e sono gli Stati Uniti. Trump ha infatti preso le parti dell’India, come già testimoniato dalla sua visita a Delhi nel mese di febbraio, durante la quale ha fatto firmare a Modi un importate accordo per la vendita di armi americane al governo indiano. Non è difficile immaginare il perché: si teme un’egemonia cinese in Asia, ma ora la Cina si sente accerchiata dagli alleati dell’America. E l’Himalaya, ora, è il simbolo di un equilibrio sul punto di rompersi.

Francesco Bulzis

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