L’INTERVENTISMO SOCIAL NELLE ELEZIONI AMERICANE

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Passata la sbornia televisiva e non delle elezioni americane, adesso è il momento delle analisi, dell’intervento a posteriori degli esperti di comunicazione e degli analisti che dibattono, sempre in tv o sulla stampa, per cercare di capire e comprendere come i mezzi di comunicazione di massa e in particolare i social media, abbiano potuto influire nella disputa elettorale. L’attenzione dell’opinione pubblica nelle ultime settimane era tutta rivolta sui risultati e sui possibili scenari che le elezioni più importanti al mondo avrebbero avuto nella politica internazionale. I social media da par loro non hanno perso tempo e hanno subito focalizzato l’attenzione di utenti e osservatori per capre dove stesse andando la discussione politica. Negli Usa è stato calcolato vi sia almeno un 72% di elettori che fa un uso abituale dei social network e dunque le piattaforme di condivisione sono state per i candidati delle opposte fazioni un ambiente e un terreno proficuo nel quale raccogliere consenso e soprattutto spostarlo, come la sfida Clinton-Trump ha insegnato.

Facebook in particolar modo era sotto osservazione dopo ciò che successe a proposito dello scandalo Cambridge Analytica e delle accuse di intromissione di troll russi nello spostamento di voti nelle ultime elezioni americane.

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Alla vigilia dello scontro elettorale stavolta sia Google che Facebook hanno lavorato d’anticipo rispetto al 2016 e si sono dotate di linee guida trasparenti per gli elettori circa le sponsorizzazioni elettorali sulle proprie piattaforme. L’altra battaglia per la quale sia Facebook che Twitter si sono fatte promotori ha riguardato poi il blocco di annunci contenenti fake news e disinformazione, un modo per bannare contenuti che avrebbero inquinato la sana ed equilibrata discussione politica. Facebook per esempio ha scelto di porre un freno a post troppo virali e a informazioni ormai datate nel tempo; Twitter ha da parte sua chiesto ai suoi utenti prima di condividere dei contenuti, di aprire i link e almeno leggerne il contenuto (a questo proposito si veda il caso Trump-Twitter circa un post considerato dalla piattaforma come infondato dell’ex Presidente Usa sul voto via posta). La strategia interventista adottata dai due principali social è poi continuata anche nella difficile gestione della lunga notte delle elezioni, quando in particolar modo Twitter ha usato la linea dura nei confronti di Trump e dei suoi tweet al veleno contro i brogli che secondo lui si stavano attuando.

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Facebook, adottando invece una linea più morbida, ha agito alla fonte dei tentativi di disinformazione, bloccando per esempio hashtag pubblicati da una certa parte di elettori americani che volevano usare i social per fermare il conteggio dei voti. Le piattaforme, almeno le maggiori del pianeta, si sono dunque mosse all’insegna di nobili intenti: bloccare account falsi di provenienza russa o cinese non è semplice e ben venga la cyber war di Facebook e Twitter.

Resta acclarato il dato di fatto che le piattaforme social rappresentano ormai un canale informativo fondamentale per miliardi di utenti, per alcuni addirittural’unico. La nuova amministrazione americana avrà allora il compito di capire come si possa, in momenti cruciali per una nazione, adottare la giusta policy nel rispetto, per esempio, della par condicio o del silenzio pre elettorale in ambienti digitali ben diversi per struttura e contenuti da quelli degli old media.

Il web vive e si fonda sulla condivisione, sull’engagement, concetti che spesso si confondono nell’emotività dell’elettore/utente, una dinamica difficile spesso da gestire quando si tratta di maneggiare un territorio nel quale l’informazione viaggia alla velocità della luce.

Andrea Alessandrino

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