L’ITALIA DELLE SCELTE SBAGLIATE

Alimentare il mercato delle armi ci rende subordinati ai trasgressori dei diritti umani

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“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Esordisce così l’Art.11 della Costituzione italiana, proseguendo con: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Un tema estremamente ricorrente nel dibattito pubblico nazionale odierno riguarda le grandi contraddizioni del commercio di armamenti da parte dell’industria bellica del nostro paese, a forte partecipazione statale, la quale - contravvenendo ai principi sanciti a livello costituzionale, sennonché agli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale come Stato parte di trattati multilaterali quali l’Arms Trade Treaty, adottato in seno alle Nazioni Unite - continua, previa autorizzazione dei governi che si succedono, a rifornire gli arsenali di paesi in preda a sanguinosi conflitti armati, che mietono ogni giorno vittime tra i civili, e di stati guidati da regimi dispotici e plutocrati, che perpetrano sistematicamente violazioni di diritti umani. L’esempio più lampante è quello egiziano, in relazione alla vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano ritrovato morto al Cairo nel 2016, vittima di sparizione forzata e tortura commesse per mano delle Forze di Sicurezza Nazionale di Al-Sisi. Il caso Regeni e i depistaggi esercitati dalle autorità egiziane per nascondere alla comunità internazionale la responsabilità dei propri servizi di sicurezza, che in Egitto fungono piuttosto da braccio della repressione e della purga degli oppositori al regime, ha svelato oltre che l’inettitudine del governo italiano nello scacchiere internazionale anche la diligenza con cui la nostra politica evita di contraddire le aspettative delle lobby dei fabbricanti di armi.

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Il legame tra la prosecuzione delle indagini e la finalizzazione delle commesse acquisite da Fincantieri per la realizzazione delle due fregate Fremm, acquistate dall’Egitto per un valore di 990 milioni, non è troppo segreto. Basti pensare che se fino al 23 dicembre scorso, data dell’arrivo al Cairo della fregata “Spartaco Schergat” - ribattezzata “Al- Galala” - la procura egiziana si era limitata ad esprimere riserve alle indagini della magistratura italiana, dopo quella data gravi insinuazioni infamanti nei confronti di Giulio sono state pronunciate dall’indegna procura generale del Cairo : “Il comportamento di Giulio non era consono al suo ruolo di ricercatore” riporta, dopo tra l’altro aver rifiutato di comunicare il domicilio dei 4 agenti imputati della National Security, giudicando tale richiesta della procura di Roma “immotivata”. La commessa però riguarda due fregate Fremm, entrambe costruite da Fincantieri, società partecipata al 70% dallo Stato, e appositamente modificate con nuovi sistemi di controllo studiati da Leonardo, anch’essa a partecipazione statale del 30%. La seconda nave, a metà febbraio, era già in mare per esercitazioni, in attesa di prendere il largo per l’Egitto. Secondo quanto emerso da un’inchiesta portata avanti dall’Osservatorio Mil€x e ilFattoquotidiano, il Documento programmatico pluriennale, in riferimento all’anno 2020, prevedeva lo stanziamento di 5 miliardi per la realizzazione di 10 nuove fregate, per un valore di circa 1,2 miliardi l’una. Conoscendo l’ammontare della somma sborsata da Al-Sisi, si evince quindi che le due fregate vendute all’Egitto hanno goduto di uno sconto di almeno 210 milioni di euro. Un trattamento più che privilegiato nei confronti di un paese che governa nel dispregio dei più basilari diritti umani, e che è venuto meno agli obblighi di diritto internazionale circa la protezione degli stranieri, permettendo che un cittadino straniero venisse brutalmente massacrato non solo sul proprio territorio, ma anche col il consenso delle proprie istituzioni. È evidente che l’Italia si è posta nella posizione di poter essere apertamente ricattata da un Egitto che tenta di comprare il suo silenzio e la sua non intromissione sul piano delle violazioni dei diritti, sotto la minaccia di revisioni a lei sfavorevoli sul piano commerciale. Oltre ad essere un importante acquirente di attrezzature a scopo bellico, l’Egitto è la chiave per l’Italia, per mettere mano sull’impianto di liquefazione di Damietta, il quale, secondo un accordo stilato nel dicembre 2020 da Eni, con la Egyptian General Petroleum Corporation (Egpc), la Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas) e la società spagnola Naturgy, verrà riavviato entro la fine del 2021.

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Questa situazione altro non è che il frutto di anni di strategie e politiche errate, che ci hanno portato a dipendere economicamente da altri paesi. In un momento storico in cui interi settori, quali il tessile e il manifatturiero, si trovano in gravi difficoltà, non si pensa nemmeno ad un massiccio piano di riconversione che potrebbe far ripartire l’economia, dandole anche un orientamento più lungimirante e moralmente corretto; considerando che la Lg.185/90 circa le “nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, prevede all’art.1 che: “Il governo predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”. E invece l’industria delle armi occupa ancora una fetta di mercato troppo importante che in qualche modo dovrà essere assorbita, e lo sfruttamento di risorse in esaurimento quali i combustibili fossili, a forte impatto ambientale, non è in previsione che venga sostituito nel breve periodo dall’utilizzo di fonti rinnovabili, le quali ci sottrarrebbero dalla posizione di subordinazione nei confronti dei grandi del petrolio. Lo scorso anno, mentre un sistema sanitario nazionale affannato dalla pandemia temeva di dover scegliere tra chi salvare e chi sacrificare, per mancanza di respiratori e posti nelle terapie intensive in saturazione, veniva stilato un Piano di Bilancio che vedeva un incremento di 1.509 milioni nei fondi stanziati per la difesa, a cui si aggiungono 1.308.747milioni attribuiti al Ministero dell’Economia e delle Finanze, per le missioni internazionali, e i 5 miliardi di finanziamenti aggiuntivi al bilancio ordinario, che vedono tra i beneficiari aziende come Leonardo (Finmeccanica), Iveco – Oto Melara, Beretta e Mbda (somma, questa, che ricorda quella utilizzata per la costruzione delle 10 fregate). Se continuiamo ad alimentare questo giro della morte non possiamo poi pretendere di costituirci come parte lesa, perché si tratta di un evidente concorso di colpa.

Federica Scippa

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