L’Italia delle stragi annunciate.

Si sapeva! Poteva essere immaginato! Erano stati previsti interventi a breve!

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Quante volte abbiamo ascoltato al telegiornale queste parole? Quale il senso di disgusto ci ha assalito? Non si può pensare allo stupore piuttosto alla rassegnazione come male peggiore. La strage della funivia Stresa- Mottarone è solo uno dei capitoli che si aggiungono alla macabra storia della manutenzione italiana. Una storia che fa delle persone semplicemente dei numeri, sacrificabili sì, in nome del dio denaro. Si parlerà di post pandemia, di decisioni prese per via della crisi dei mancati introiti dovuti al fermo imposto al paese. Si parlerà di imprenditori alla canna del gas, di decisioni figlie della disperazione ed esasperazione per un nuovo stop dei macchinari al fine di permettere gli interventi necessari.

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“La funivia non doveva fermarsi”, “pum, pum, pum, ho bloccato i freni perché facevano troppo rumore!” la definiscono sconsiderata condotta quella di manomettere i freni in maniera consapevole per ragioni puramente economiche ed in barba alle più elementari norme di sicurezza. 14 morti sono il bottino di questa scelta condivisa da più persone ed un bimbo miracolosamente scampato alla morte, probabilmente solo grazie all’abbraccio del papà, che sacrificandosi lo ha protetto. Chi pagherà per questo? E ci sarebbe poi una giusta sentenza, una degna giustizia per quelle che non sono per niente tragiche morti?

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Crollo, incidente, fatalità: i termini preferiti dalla stampa nazionale.

Allora torniamo di pochissimo tempo all’ indietro, proviamo a fare il punto della situazione di un’altra tragedia annunciata quella del Ponte Morandi, 14 agosto 2018.

43 morti, 11 feriti, 566 sfollati. Prima della pandemia, prima di conoscere la potenza devastante di un virus e neanche immaginare quanto l’esistenza sarebbe cambiata, c’era ancora una vita normale. Correva l’anno 2018 e il giorno prima di ferragosto il ponte di Genova, il ponte Morandi tristemente ormai noto crolla e con si schiantano non solo 43 morti ma tutte quelle famiglie spezzate dalla dipartita dei loro cari. Il trauma dei sopravvissuti, il dramma degli sfollati, la paura, lo smarrimento, il rumore assordante e sopra ogni cosa quell’immagine fissa nelle nostre menti del ponte che viene giù, l’uomo del tir che si ferma in tempo e corre all’indietro con la testa fra le mani. Dopo 3 anni è stata chiusa l’inchiesta con 71 indagati. Cosa mai cambierà?

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18 gennaio 2017. Sono passati quattro anni dal giorno in cui una valanga distrusse l’hotel Rigopiano, a Farindola, sul versante pescarese del Gran Sasso, causando la morte di 29 persone. Nell’hotel c’erano 40 persone: 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 dipendenti. Richieste inascoltate, aiuti in ritardo, fraintendimenti, mancata evacuazione per precedenti scosse di terremoto… Come ogni anno da allora, i famigliari delle vittime commemorano i loro cari durante una cerimonia vicino al luogo dove una volta sorgeva l’albergo. Ad oggi non ci sono ancora risposte esaustive sulle cause e sulle responsabilità, in particolare quelle relative alla pulizia della strada e alla lacunosa gestione dei soccorsi nelle ore immediatamente successive alla valanga. I politici, in un primo momento indagati, vedranno archiviate le accuse a loro carico nel 2019.

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Cinque anni fa, il 12 luglio 2016, si consumava uno dei disastri ferroviari più gravi del nostro Paese, che costò la vita a 23 persone, i cui parenti ancora oggi chiedono che sia fatta giustizia. Sono altre 23 vite spezzate da quello che da subito fu definito un errore umano nella gestione del traffico ferroviario, appesantito da una serie di altre circostanze come la mancata formazione del personale e il mancato ammodernamento della rete ferroviaria. Prima dell’ennesima tragedia si parlava di “incidenti sfiorati”, “grave e concreto rischio per la salute”… Dopo vari rinvii a giudizio, il 13 maggio di quest’anno è ripreso il processo, che vede imputati 17 impiegati dalla Ferrotramviaria, tra direttori e dipendenti. Sotto accusa anche dirigenti del Ministero dei Trasporti e dell’Ustif, accusati di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi colpose, omissione dolosa di cautele, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e falso. E bla, bla, bla…

È decisamente inquietante come sia abusato, reiterato lo stesso linguaggio, come se il tempo dimenticasse, come fosse possibile.

Francesca Coppola

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