L’UE DEI 27 E LE NUOVE RELAZIONI POST BREXIT

Tra accordi mancati e tante incognite per il futuro del Paese

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L’anno nuovo si apre con una buona dose di novità sul fronte Brexit, raccolte in 1200 pagine di accordo di ritiro, che l’Aula di Strasburgo dovrebbe votare in occasione della plenaria di marzo. A partire dal 1°gennaio 2021, la Gran Bretagna, dopo la fase di transizione post Brexit, perde tutti i diritti e i doveri attribuitegli in quanto membro dell’Ue. Questo significa che raggirato il temuto e caotico scenario no deal, i rapporti UE-UK, saranno sottoposti ad una nuova disciplina, caratterizzata da barriere commerciali e non solo, sulla base delle condizioni negoziate nell’arco di 10 mesi, per la conclusione dell’accordo adottato in extremis, lo scorso 24 dicembre. Un’uscita quella della Gran Bretagna, non di certo indolore, trattandosi di un mercato importante quello inglese; si pensi che nel 2019 il 13% delle esportazioni dell’Ue si sono dirette oltremanica. Eppure, per quanto il mercato unico abbia fino ad ora offerto ottime prospettive al partner britannico, tanto che il Regno Unito deve all’Unione circa la metà dei suoi interscambi con l’estero, non sembra annidarsi un clima di preoccupazione tra i vertici di Downing Street , che secondo la constatazione di un alto dirigente Ue, riportata dal direttore del think tank Centre for european reform, Charles Grant, non sarebbero interessati all’economia: “ L’unica cosa che gli importa è la libertà dalle regole e dai tribunali dell’Ue".

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D’altro canto, troppo facile il grido dei Tory del “Fuck Business”, quando ci si è assicurati il mantenimento dell’apertura dei rispettivi mercati agli operatori della controparte, nell’ambito dei servizi finanziari, considerando la centralità del ruolo chiave svolto dalla City londinese. E lo stesso motto non ha avuto nemmeno tanta risonanza per gli accordi circa la libera circolazione delle persone, diritto di cui sono dotati tutti i cittadini dei paesi aderenti allo Spazio Schengen, che dunque viene meno verso le frontiere britanniche, ad eccezione per i viaggi d’affari. Per il resto l’UK si è rifiutata di includere nell’intesa un capitolo sulla mobilità, o qualsiasi clausola che faciliti le visite di breve termine e i soggiorni a lungo termine.

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Naturalmente con la libertà di circolazione delle persone viene meno anche la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento, impedendo ai fornitori di servizi britannici di fornire servizi all’Ue, se non disponendo di filiali sul territorio dell’Unione, perdendo il “Passaporto Ue”, che consente ad un’impresa autorizzata in uno Stato Ue di erogare prestazioni in tutti gli altri Stati, alle stesse condizioni. Ovviamente l’intesa verte sul “level playing field”, ovvero la tutela della concorrenza leale nell’Ue, e sulla creazione di un’area di libero scambio, senza dazi né quote sui prodotti, per salvaguardare il più possibile la relazione mutualmente benefica tra le due potenze. Un peso importante avrà la burocratizzazione dettata dalle nuove regole di origine del prodotto, in quanto è previsto che tutte le merci importate dovranno essere sdoganate e dovranno rispettare tutte le norme del Paese importatore. È dunque con un’impressionante indulgenza europea nei confronti della controparte britannica che sembra concludersi formalmente la vicenda Brexit, la quale non fa altro che confermare il tipico atteggiamento della Gran Bretagna del “cherry-picking”, ovvero una scelta à la carte dei vincoli da accettare o meno nei confronti dell’Ue.

Federica Scippa

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