L’UMILTA’ DI DUE GRANDI SCIENZIATI

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Al termine di una conferenza tenutasi nel 1930 a Lipsia, di fronte alla Società tedesca di Fisica, il presidente, dopo aver ringraziato caldamente Albert Einstein per il suo intervento, si girò verso il pubblico presente, sollecitando le eventuali domande.

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Dall’ultima fila della sala si alzò un giovane dal fisico asciutto e il viso scarno, con un enorme ciuffo ribelle e due occhi vispi.

In un tedesco assai rozzo e con un modo di fare piuttosto sorprendente, disse:

cms_26258/2_1653973358.jpg"Quello che ha detto il Professor Einstein non è stupido, ma la seconda equazione che ha scritto non deriva dalla prima. Essa richiede, infatti, delle ulteriori assunzioni che non sono state fatte e, inoltre, quel che è peggio, non soddisfa un criterio di invarianza, come invece dovrebbe essere".

Un silenzio glaciale calò nella sala e tutti si volsero a fissare increduli e sbalorditi quel bizzarro e audace frugoletto. Tutti ad eccezione di Einstein, che si mise a guardare assorto la lavagna, accarezzandosi i baffi con la mano.

Dopo un minuto si girò e, riconoscendo il suo errore, disse:

"L’osservazione di quel giovane là in fondo è perfettamente corretta. Vi prego pertanto di dimenticare tutto quello che vi ho detto quest’oggi".

Quel giovane intrepido di 22 anni era Lev Davidovich Landau, destinato a diventare il principale fisico teorico dell’Unione Sovietica, uno dei più grandi geni di tutti i tempi.

Una vita dedicata alla scienza e, purtroppo, non facile come la storia di tante persone di grande statura intellettuale.

Di origini ebraiche, figlio di un ingegnere (il padre) e e di un medico (la madre) fin da piccolo fu considerato un bambino prodigio: a 12 anni imparò da solo l’analisi matematica. A 14 anni si iscrisse alle facoltà di fisica e chimica e a 16 anni di dedicò interamente alla fisica teorica. Ottenne la laurea nel 1927, anno in cui pubblicò un suo lavoro sull’irraggiamento nella meccanica quantistica, nel quale usò per primo la matrice densità per la descrizione degli stati.

Nel 1929 si recò a Copenaghen, dove Niels Bohr era solito tenere incontri nei quali si discuteva della fisica teorica del periodo, e questo fu un punto importante per la sua definitiva formazione di fisico.

Dal 1931 al 1934 fu a Leningrado, mentre dal 1935 fu a Charkiv, alla cattedra di fisica generale, dove, oltre a molteplici lavori, si dedicò all’organizzazione di una scuola speciale, pensando a un rinnovamento globale dell’insegnamento della fisica. Per questo motivo iniziò a lavorare a un corso di Fisica Teorica, in collaborazione con Evgenij Lifšic, che doveva poi rivelarsi come il più completo della fisica moderna, partendo dalla meccanica classica alla fisica statistica all’elettrodinamica dei continui, fino alla cinetica chimica.

Landau pensava che i metodi di insegnamento non fornissero sufficienti mezzi matematici ai fisici, per cui l’accesso alla sua scuola era regolato da un esame di ammissione, chiamato minimo teorico, nel quale veniva richiesta una perfetta conoscenza dell’analisi vettoriale, dell’algebra tensoriale e almeno dei presupposti delle funzioni a variabile complessa; argomenti più specifici sarebbero poi stati introdotti dove necessari. Dal 1934 al 1961 solo 43 fisici furono in grado di superare tale esame (tra i quali Aleksej Abrikosov, premio Nobel per la Fisica nel 2003), ma uno dei risultati di questa scuola fu l’alto livello generale della fisica sovietica.

cms_26258/download.jpgNel 1937 si trasferì definitivamente a Mosca all’Istituto di Problemi Fisici. Nel 1938 Landau fu arrestato come "nemico del popolo", servo della fisica "borghese", e spia tedesca: trascorse un anno in carcere alla Lubjanka, dopo di che fu reintegrato presso lo stesso istituto grazie all’intervento del futuro Premio Nobel Pëtr Kapica, che chiese a Stalin la scarcerazione. In seguito ottenne vari riconoscimenti anche esteri e nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per "la ricerca pionieristica nella teoria dello stato condensato della materia e in particolare dell’elio liquido".

Il 7 gennaio 1962 fu vittima di un grave incidente stradale, quando, a causa della strada ghiacciata, l’autovettura su cui viaggiava, guidata dal fisico Vladimir Sudakov, con a bordo anche sua moglie, si scontrò con un autocarro. Landau rimase tra la vita e la morte per diverso tempo e diede i primi segni di coscienza solo il 27 febbraio; non superò mai veramente l’incidente, e morì il 1º aprile 1968 per un’improvvisa embolia polmonare.

cms_26258/00.jpgUna delle principali opere di Landau è il monumentale Corso di Fisica Teorica in dieci volumi, scritto insieme a Evgenij Lifšic, L. P. Pitaevskij e V. B. Berestetsky, una delle opere più sistematiche ed esaustive di fisica teorica finora scritte, che costituisce un punto di riferimento per tutti gli studenti universitari della materia, celebre peraltro per la chiarezza dell’esposizione e il rigore della trattazione. In realtà Landau non amava scrivere e si limitava a dare l’impostazione dei testi e a discuterli con i suoi collaboratori; la redazione diretta avveniva ad opera di questi ultimi. Il suo corso ha esercitato una profonda influenza su chi ha studiato fisica in Italia negli anni settanta e ottanta, sia per l’effettiva consistenza di alcuni degli argomenti, sia per la facile reperibilità e il basso costo: rispetto ad altri testi di livello universitario, furono distribuiti anche in molte librerie non universitarie e quindi molti ebbero occasione di conoscerlo al di fuori del circuito accademico: erano rari gli studenti di fisica che non avessero acquistato almeno i primi tre volumi. Il quarto volume, scritto senza la supervisione di Landau, ha avuto in genere minori apprezzamenti, anche se ha conosciuto una buona diffusione. Gli altri erano relativi a corsi più specialistici, non sempre inclusi nei piani di studio. Per molto tempo ciò che si seppe della biografia di Landau era riportato nell’introduzione al primo volume del corso, tradotta dal russo, abbastanza dettagliata su alcuni aspetti ma reticente su altri. Essa glissava, ad esempio, sull’arresto e sull’incarcerazione.

Ilaria Leccese

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